Intervista con Marco Frascarolo

Roma

Marco Frascarolo, ingegnere, designer della luce, che ha firmato, tra gli altri, il progetto della nuova illuminazione della Cappella Sistina, della Basilica di S. Francesco di Assisi e le linee guida per la nuova illuminazione del Colosseo (coordinando un team di docenti e studenti del master in lighting design dell’Università “la Sapienza”), appassionato docente universitario, confida a Inside Art riflessioni sulle nuove frontiere del design della luce, passando per i suoi obiettivi di insegnante i suoi sogni nel cassetto e i grandi esempi di ingegneria dell’illuminazione, in vista della sua prossima collaborazione con Open House, la rassegna di architettura che il 7 e 8 maggio consentirà al pubblico di entrare in molti edifici di grande interesse architettonico e di design a Roma.

I tuoi prossimi impegni più imminenti?
«Attualmente sto lavorando sull’illuminazione di Casa Italia, l’edificio che accoglierà gli eventi connessi alla partecipazione dell’Italia alle olimpiadi Brasile 2016 ed all’illuminazione del Luneur, il lunapark storico romano, che riaprirà i battenti nei prossimi mesi. ‏Nell’ambito di Open House, racconterò il mio lavoro in un’Inspiration day organizzato da Together, una associazione culturale romana con sede nel cuore di Trastevere».

Sogni per la tua disciplina? Cosa ti aspetti dalla continua evoluzione tecnologica?
«La convergenza tra il mondo della luce e tutto quello che ruota intorno alla produzione dell’ immagine. Il Led rappresenta la tecnologia di base sia per gli apparecchi di illuminazione che per gli schermi video: puoi ricoprirci un intera facciata di un palazzo che diventa una Media Facade. Ci sono molte forme di illuminazione ibride tra questi due estremi, ad esempio il videomapping, la tecnica per illuminare un edificio ricostruendo un’immagine virtuale dell’edificio con la luce, sovrapposta a quella reale e lavorando in maniera dinamica, scomponendo le immagini, creando l’illusione che sia l’edificio reale a trasformarsi. Il videomapping è una specie di sagomatura dell’edificio, si lavora in maniera dinamica in modo preciso sulle caratteristiche architettoniche dell’edificio. Quindi non si tratta più di una luce statica ma dinamica e plastica e malleabile».

I tuoi grandi maestri di luce?
«In primis Piero Castiglioni, autore di alcuni tra i progetti di luce piu’ significativi degli albori del lighting design italiano degli anni ’70-’80, il Centre Pompidou e la Gare d’Orsay a Parigi, con cui ho lavorato sul progetto Scuderie del Quirinale a Roma e la mostra di Renzo Piano al Centre Pompidou a Parigi. Con lui ho fatto Scuderie del Quirinale a Roma e la mostra di Renzo Piano al Pompidou. È il nipote di Achille Castiglioni, designer anni ’40 di lampade famose, tipo la piantana col marmo. Ha sviluppato un’idea di convergenza sempre maggiore tra luce e immagine. Come per esempio con gli scenari della archeologia industriale, o una piazza. Ci sono molte forme di illuminazione ibride, tra vidiwall e luci base, come il videomapping, la tecnica per illuminare punti cruciali di un edificio ricostruendone l’immagine sopra, o un edificio virtuale su quello reale. Si lavora scomponendo le immagini».

Va in competizione con la Street Art?
«La Street Art ha la caratteristica che per i costi molto contenuti è alla portata di tutti. Invece il videomapping è costoso e richiede mezzi tecnologicamente sofisticati. Di contro, il videomapping non è invasivo: si spengono i proiettori e tutto torna come prima. Dunque un discorso che mi interessa è quello in cui non si parla solo di luce ma anche di ambiente, immagine, come pure del suono. Cito come esempio una recente iniziativa sul territorio “Urban Lightscape”: un contest internazionale che richiedeva di usare la luce come occasione per rilanciare il territorio del quartiere dell’Eur a Roma. Quindi insieme alla luce si parlava di accesso a internet, banda larga, edifici visibili attraverso la realtà aumentata attraverso un’app».

Gli attuali limiti del Led da superare?
«È maturo tecnicamente, ma, a livello di oggetto, non avrà mai il fascino della sorgente ad incandescenza tradizionale. La qualità, non solo in relazione al tema del risparmio energetico, ma anche in relazione alle caratteristiche cromatiche e di tonalità del bianco è eccezionale, come dimostra ad esempio il lavoro che abbiamo fatto nella Cappella Sistina, dove lo spettro di emissione della luce è stato costruito sul posto insieme agli storici dell’arte ed ai conservatori, cosa impensabile con le altre tecnologie».

Il motivo per cui scelgono il tuo master?
«I ragazzi scelgono di fare il master per due motivi: a livello di passione è un bel connubio tra parte tecnica e creativa; sotto il profilo pratico, vantiamo ottimi risultati nel placement, molti di loro trovano opportunità di lavoro in aziende e studi professionali. Ci sono borse di studio per studenti italiani e stranieri, che variano di anno in anno in base alla programmazione regionale, nazionale, europea. Ma tornando alla parte passionale, vedo negli studenti la stessa spinta che mi ha portato, da ingegnere, a dedicarmi a un lavoro dal taglio architettonico. In più c’è un lavoro importante sulla creatività, l’espressività della luce, la tutela e valorizzazione dei beni culturali. Una cosa che ha poi affascinato molto me nel prendere questa strada è il fatto che amo la interdisciplinarietà che richiede un buon lavoro con la luce. La grammatica della luce e quella della musica hanno parole comuni. Termini come vibrazioni, frequenze, tonalità, gradazioni, scale cromatiche e altre indicazioni anche della agogica sono valide al tempo stesso in un discorso sulla luce quanto in uno sull’arte dei suoni».