Cobra, la violenza del colore

“Il cobra non è un serpente”, Donatella Rettore, 1980, Kobra. Mettendo da parte la malizia, la canzone potrebbe funzionare come introduzione per la mostra in corso fino al 3 aprile organizzata da Fondazione Roma e ospitata a palazzo Cipolla. È nel distogliere l’attenzione dall’animale e trasformarlo in metafora che la Rettore ha brillantemente riattualizzato una pratica già usata in precedenza da una neo avanguardia europea che in Cobra aveva trovato il suo nome come perfetta idea di violenza. Nome che però, come nella Rettore, non rappresentava un animale, ma l’acronimo delle città dei vari componenti del movimento: Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam.

Cobra, una grande avanguardia europea è infatti il titolo della mostra curata da Francesco Poli e Damiano Femfert che raccoglie più di 150 lavori fra dipinti, disegni, documenti, foto, sculture e pubblicazioni nel tentativo di gettare luce su un movimento forse non tanto noto al grande pubblico. A questo scopo sono stati previsti anche una serie di incontri, l’ultimo, il 23 marzo, incentrato sul rapporto fra musica, arte Informale e Cobra.

Prima parlavamo di violenza e forse è una delle chiavi per capire questa neo avanguardia. Siamo nel secondo dopo guerra, Cobra viene fondata nel 1948 per poi sciogliersi pochi anni dopo nel 1951. All’epoca dominava incontrastato l’astrattismo geometrico di matrice olandese che prende a modello i lavori di Mondrian. Dopo infinite difficoltà il così detto stile astratto, bistrattato all’origine, vive un periodo di grande rivincita. Ma è solo la tregua prima della tempesta, la corrente astratta arriva alla seconda metà del Novecento provata da cinquant’anni di storia e di scissioni interne in sotto categorie che impoveriscono la produzione subordinandola a questa o quella scuola.

Alla purezza degli accordi cromatrici e al cristallino incrociarsi di rette, si contrappongono due movimenti che all’ordine geometrico preferiscono il caos, materico nel caso dell’Informale, cromatico nel caso di Cobra. Due avanguardie sicuramente diverse ma unite nel distaccarsi dalla tradizione presente e nel ricorso alla gestualità non più nascosta in omogenee stesure di colore.

Ed è sufficiente osservare uno qualsiasi dei dipinti di Karel Appel, Pierre Alechinsky e Corneille, giusto per citare alcuni dei componenti del movimento, per scorgere in quelle tele delle chiare anticipazioni dell’action painting statunitense. Pigmenti stesi con pennellate violente che definiscono composizione in bilico fra raffigurazione e astrazione diventano una vera mappa per capire gli umori dell’arte nel dopo guerra: la lotta fra la figura umana e la geometria, la necessità di esprimere gli orrori del conflitto mondiale. In poco meno di tre anni Cobra, così, riesce a farsi specchio di una società malata non certo curando le ferite aperte con la poesia, piuttosto facendone una fotografia, la stessa che chi varcherà la soglia di palazzo Cipolla avrà l’opportunità di vedere in tutta la sua interezza.

Fino al 3 aprile, Fondazione Roma, palazzo Cipolla, via del Corso 320, Roma; info: www.mostracobraroma.it

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