Il salotto buono di Milano, quello delle architetture auliche ed eleganti di Palazzo Reale, dedica l’inizio dell’anno a due grandi mostre d’arte, che celebrano capolavori italiani ed europei del periodo tra Otto e Nocevento. Un ritorno al passato in grande stile e dai numeri da capogiro; la prima mostra, iniziata a dicembre e avanti fino all’inizio di primavera, espone l’opera del ceco Alfred Mucha, che ha riempito le sale di palazzo delle sofisticate atmosfere dell’Art Nouveau.
In questi giorni le porte si sono aperte per l’inaugurazione della seconda mostra in programma Il Simbolismo, arte in Europa dalla belle époque alla Grande Guerra, in esposizione fino al 5 giugno. Grandi numeri dicevamo, 2,000 mq di superficie espositiva, 24 sale coinvolte per 18 sezioni tematiche, che tra le più scenografiche ha quelle dedicate alla Biennale del 1907, una vetrina della nostra arte a confronto con quella mitteleuropea maturata e cresciuta con la Secessione di Berlino e di Vienna. Un’evento nell’evento è l’istallazione sonora dell’artista vicentino Alberto Tadiello per l’opera Il poema della vita di Giulio Aristide Sartorio. La musica e la poesia sono all’interno del percorso il filo ideale, e quello reale al momento della nascita del movimento, che fanno da trait-d’union tra un quadro e l’altro che diventano palcoscenici su cui vanno in scena rappresentazioni demoniache, voluttuose figure femminili, visioni oniriche di luoghi immaginifici. La dimensione visionaria delle singole iconografie è un viaggio lontano ed estraneo alla pura mimesi del reale, ma pronto ad evocare miti, simboli o richiami classici e creature ibride, paesaggi dello spirito.
Per la prima volta in Italia è in mostra la donna ghepardo di Fernard Khnopff, la testa di Orfeo galleggiante sull’acqua di Jean Delville dal Musèes Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles e il Silenzio della Foresta di Arnold Bocklin dalla Galleria Nazionale di Poznan. La mostra ha reso possibile non solo uno studio approfondito e aggiornato sul periodo, ma anche un corposo restauro, pulitura e manutenzione di oltre dieci opere, provenienti dalla Ca’ Pesaro di Venezia, dalla Galleria degli Uffizi e dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma con il grandioso polittico di G.A. Sartorio Le Vergini Savie e le Vergini Stolte. Tutto questo con il sostegno del progetto ‘Valore e Cultura’ in atto dal 2015 dal Gruppo Generali Italia.
Alberto Martini, Gaetano Previati, Giovanni Segantini, Galileo Chini, Giorgio Kienerk alcuni degli italiani, Odilon Redon, Gustave Moreau, Gerdinand Hodler, Max Klinger ed altri ancora sono i volti di un movimento che ha mille facce, che differisce nei temi, nei percorsi e negli stili pittorici ma che tiene ben stretto a sé come comun denominatore la negazione (e le negazioni) di tutto il suo presente. Se ognuno degli artisti segue in maniera autonoma la sua cifra stilistica e formale, è vero che il baluardo sotto cui pittori e scultori trovano asilo è quello del netto rifiuto della società a loro coeva e della frustrazione per la perdita di centralità dell’uomo portate da Darwin e dell’impossibilità di gestire le nostre pulsioni più deplorevoli da Freud. Si demoilisce senza appello la modernità, il positivismo e l’ideale del progresso votato alla quantità e all’industrializzazione. Di qui la negazione di naturalismo e impressionismo sintetizzati nel rigetto del dato reale come mero dato percettivo.
Le composizioni di Böcklin così realistiche sono invece paesaggi sognati e sognanti, interpretati spesso su leggende medievali. L’opera L’Isola dei Morti rimane anche nella sua resa vivida e mimetica, uno dei quadri più ipnotici e misteriosi della storia dell’arte. Come Böcklin tutto l’esercito di artisti inquieti e insofferenti alla loro epoca voltano le spalle al presente, rivolgendosi con una fatale attrazione verso un passato remoto e d’oro che diventa consolatorio, edificante e pedagogico. Ed è un passato diversificato, talvolta nell’immagine di un’ideale nudo michelangiolesco o di un cavaliere medievale, o un dio classico, o di un’antichissima figura femminile come Lilith della tradizione biblica. Poco importa a quale passato si guarda, l’importante è fuggire il corrotto presente. Accanto e in parallelo al rifugio nel passato, c’è il mito e la rappresentazione della Natura, il senso panico di essa e di tutto quello che racchiude, dal mito della giovinezza e bellezza come antidoto alla corruzione dell’era industriale al mito del peccato, della morte, dell’eros come suo prodotto malsano e corrotto.
Giovanni Segantini lascia sulle tele splendidi paesaggi innevati delle Alpi italiane che sembrano cartoline, ma le figure che le abitano sono pure invenzioni, visioni, protagoniste benefiche e malefiche che sono presenze fantastiche dentro luoghi reali. E così la Natura è ridefinita alla luce della proprioa interiorità è al centro della poetica del periodo e l’artista Alberto Martini scrive ”La verità è interiore. La natura vera è la visione della natura”.
Fino al 5 giugno, palazzo Reale, Milano; info: www.mostrasimbolismo.it