Il fascinoso spazio milanese della galleria Lia Rumma è teatro silente di Tell me something about you, quarta personale italiana di Tobias Zielony, artista tedesco classe ‘73 coprotagonista del Padiglione Germania all’ultima Biennale di Venezia. La mostra è caratterizzata da una selezione di opere appartenenti a quattro cicli differenti concepiti tra il 2008 e il 2014, attraverso cui si dispiega la teoria del racconto per immagini di Zielony. L’artista teutonico scava tra le maglie più anguste dell’animo umano, e la sua macchina è strumento di indagine sulla collocazione sociale di una generazione di giovani emarginata, tramortita da carenze governative e spesso abbandonata a rovinose tentazioni. Le immagini di Zielony parlano la lingua della crudeltà, una crudeltà che, come sentenziato da Artaud, elude lo strazio carnale e il male fisico per dichiararsi lucida e sottomessa a una necessità. Quella stessa necessità che impone di dedicarsi alla prostituzione alle giovani donne di Jenny Jenny (2013), la serie fotografica realizzata a Berlino che esordisce sul suolo espositivo italiano, composta da diciotto ritratti e da un video, Der Brief, che insieme abitano il piano terra della galleria in una proposta allestitiva che suggerisce una lettura in traiettoria circolare culminante nella visione della delicata opera filmica.
La conoscenza diretta di realtà difficili tanto quanto interessanti per la sua ricerca è basilare nel processo creativo dell’artista. Frutto infatti di uno dei suoi viaggi è la serie Manitoba (2009-2011), nome della regione canadese di appartenenza di una gang di teenagers protagonista dei ritratti esposti al primo piano. Un progetto che come tanti altri centralizza l’esperienza umana e la sua relazione con il contesto socio-economico. Infatti all’alternanza tra figure umane colte in pose e atteggiamenti quasi sempre legati a una quotidianità semplice, e inquadrature su spazi naturali ed architettonici è affidato il ritmo di questa sezione della mostra, che ha come sottofondo audio una traccia basata su un testo di Andrea Hiot che racconta il sistema scolastico residenziale canadese, secondo cui i bambini autoctoni vengono sottratti ai genitori per ricevere una educazione che ne trancia il senso di appartenenza identitaria. La terza e ultima parte della mostra, allestita al secondo piano, è basata su una duplice proposta video, Big Sexyland (2008) e The Street (Rome) del 2013, che riflette sulle reali possibilità di integrazione di giovani costretti a ricollocarsi. Nel primo, la successione di ottanta diapositive offre un punto di vista sulla condizione di alcuni ragazzi dell’Est stabilitisi speranzosi a Berlino, ma distratti dalla seduzione di un cinema a luci rosse e dai divertimenti pericolosi di un parco. Il secondo narra l’esperienza di un gruppo di giovani bengalesi ospiti di un centro di accoglienza alla periferia di Roma. Nonostante l’evidente attitudine documentaristica e la scelta di luci naturali, le opere di Zielony camminano sul crinale scivoloso dell’incertezza, il suo modus operandi rimane decisamente autoriale, mai completamente imparziale, come è giusto che sia per un fare artistico ormai completamente svincolato dal giogo asfissiante della ricerca di verità assolute troppo spesso e fastidiosamente richieste al medium fotografico, proprie forse di un fotogiornalismo preistorico anch’esso oggi ampiamente superato.
Fino al 16 gennaio
Info: www.liarumma.it