L’arte di Tindar

Roma

Una grande radice disegnata a matita abbraccia e riunisce tre grandi religioni: Cristianesimo, Islam ed Ebraismo, l’una accanto alle antiche pagine intelate dell’altra. È così che Tindar mette in relazione natura e religione, in una coesione perfetta che sfocia nell’attenta analisi di Presa di coscienza sulle religioni, l’opera finalista al Talent Prize 2015. È l’artista stesso a rivelarci le peculiarità della sua ricerca artistica.

Nelle tue opere è presente un costante riferimento alla natura. Come ti ci rapporti? Ritieni che rappresenti maggiormente la forma o la sostanza nella tua arte? «Direi la sostanza. Per me la natura è verità, mi conduco a lei per allontanarmi da quella nebulosa confusa che costituisce i miei pensieri per giungere a una sostanza concreta, silenziosa e potente: questo è l’insegnamento che la natura mi dà e dinnanzi al quale m’inchino».

Considerando Presa di coscienza sulle religioni, come credi che la religione possa convivere in armonia con la natura? Ritieni la natura parte della religione o viceversa? «Credo che la religione in quanto frutto intellettuale si allontani notevolmente dalla natura, e quello che ho cercato di esprimere in quest’opera è la riunificazione, tramite un elemento naturale, in questo caso una radice, di messaggi religiosi simili nella sostanza ma diversi nella forma, in forte contrasto ideologico seppur in comunione rispetto alla loro origine, derivante dai testi ebraici antichi. Quello che m’interessa sottolineare è come il mondo intellettuale per sua natura divida, e come invece la natura riesca sempre a unificare: il male divide, divide et impera, mentre il bene viene dall’unione, rappresentata dalla radice, e quindi dalla natura».

Usi il segno non solo inteso come pittura, ma anche come scrittura, in altri casi come impronte digitali che formano un disegno. Che cosa rappresenta esattamente il segno nella tua arte? «Il segno è il mezzo con il quale ho maggiore confidenza, seppur a tratti ancora goffa, per riuscire a esprimere quello che sento. Tutto ciò che non è segno, quindi colore e forma, mi attrae molto ma ancora non rappresenta un mezzo espressivo, sebbene spero che un giorno diventi familiare. Pertanto il segno rappresenta lo strumento principale di traduzione in forma di ciò che percepisco».

Come descriveresti il processo che ti conduce alla realizzazione di una tua opera? «Non riesco mai a risalire la corrente di quel fiume che sfocia nella produzione di un’opera, ogni volta che provo a farlo mi tradisco, appena credo di aver definito il processo che mi ha portato a realizzarla, immediatamente non ne sono più convinto. Non ritengo infatti la mia arte concettuale, dove viene prima l’idea e poi l’opera, per me non è così. Non amo molto inoltre descrivere le mie opere, come Frank Zappa sosteneva riguardo al parlare di musica, credo che parlare di pittura sia come ballare di architettura: impossibile, ogni mezzo di espressione si esprime al meglio in se stesso».

 

PROGETTI
Il prossimo progetto di Tindar ci parla nuovamente di natura. L’artista, come da sua ferrea regola, raccoglie foglie non rotte, intatte e incontaminate, per impedire che la natura sia in qualche modo manipolata dalla mano dell’uomo, ovvero dell’artista stesso: difatti egli la vuole mostrare nella sua immutata bellezza, proiettando le ombre di foglie che magicamente rivelano un’epifania segreta e meravigliosa. Si tratta di fotografie analogiche che non prevedono modifiche da parte dell’artista accompagnate dall’installazione delle foglie stesse e delle loro ombre proiettate.

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