Intervista con Fabio Barile

Fabio Barile. Pugliese, 35 anni. Fotografo. In realtà definirlo fotografo è riduttivo. Fabio è un ricercatore, uno studioso, uno di quegli artisti alla continua ricerca del sapere. Il suo lavoro è in perenne evoluzione, senza sosta, senza limiti, senza costrizioni. Al momento la sua ricerca è concentrata in maniera preponderante sulle dinamiche geologiche e sulla genesi del paesaggio; si pone domande, si confronta con esperti, diventando esperto a sua volta, non si pone limiti e adora la scienza. Il progetto Landshape, homage to James Hutton, realizzato in collaborazione con il geologo Antonio Moretti, dell’Università dell’Aquila, è il lavoro con il quale è arrivato alla finale del Talent Prize 2015.

Fabio, parlaci di te, della tua storia.
«Sono nato in Puglia, precisamente a Barletta, una cittadina di provincia dove la mia prima passione artistica è stata la musica. Suonavo il basso in una band hard rock, ma la mia indole di sperimentazione mi ha portato a cercare nuovi stimoli musicali, non sempre condivisi dagli altri componenti della band. Ho cercato, quindi, altre espressioni artistiche. In un contesto di provincia, dove le istituzioni sono spesso assenti alle esigenze dei giovani, ho iniziato, da autodidatta, a interessarmi di pittura. Sono partito dai Surrealisti, tipo Dalì e Magritte, per poi giungere, senza neanche accorgermene, a sfogliare libri di pittura futurista. E da lì, arrivare alla fotografia futurista è stato un attimo».

Quindi il primo contatto con la fotografia avviene tramite la pittura. E poi?
«E poi ho iniziato a coltivare questa passione per la macchina fotografica, finché ho deciso di approfondirla seriamente con una scuola di fotografia. Mi sono trasferito a Firenze dove ho studiato tre anni nella fondazione Studio Marangoni».

Quanto la Puglia ha influito nella tua formazione e quanto c’è nei tuoi scatti delle tue origini pugliesi?
«Se sono ciò che sono sicuramente lo devo a quello che la mia terra mi ha offerto ma non mi piacciono i nazionalismi né i campanilismi, credo molto nelle persone in sé e non nella loro provenienza o nazionalità. La Puglia è stata un importante punto di partenza. Altro punto di riferimento però, oltre alle origini, è sicuramente la voglia di scoprire, sperimentare e capire. Questa caratteristica ha sempre fatto parte del mio dna».

Colore o bianco e nero?
«Tendenzialmente colore, ma non disdegno né svilisco il bianco e nero. Semplicemente preferisco il colore perché ha un livello di complessità differente, lo devi comporre, lo devi calibrare; è un fattore in più che arricchisce lo scatto. È come avere un mazzo da quaranta carte invece che da venti. Nel mio lavoro Among, un progetto fotografico sull’erosione delle coste, dopo aver impiegato del tempo a studiare il fenomeno, mi sono concentrato sul crepuscolo astronomico, quel momento in cui il sole cala e non c’è più luce diretta, la cosiddetta ora blu, e scattando con lunghe esposizioni durante questo periodo potevo creare delle immagini in cui si sovrapponevano diversi stati di transizione come giorno e notte e terra e mare».

Landshape, homage to James Hutton, ci parli dell’opera che hai presentato al Talent Prize?
«Landshape è un progetto diverso dagli altri. Nasce, paradossalmente, da un momento di assoluta crisi nei confronti della fotografia. Mi ero avvicinato con vivo interesse alla scienza, che ritengo essere la più alta espressione artistica che esista. La complessità, nella scienza, anche della cosa più banale, può corrispondere a una delle cose più complicate e difficili per un artista. Sono stato invitato all’Aquila, insieme ad altri cinquanta artisti, per effettuare un’analisi del territorio a quattro anni dal terremoto. Dovevo pensare e produrre. È stata l’occasione per recuperare la passione assopita per la fotografia attraverso il mio nuovo interesse, la scienza. Sono riuscito a intercettare un geologo locale, Antonio Moretti, per farmi spiegare quali sono i meccanismi e le dinamiche del paesaggio aquilano; durante le passeggiate sulle montagne abruzzesi mi hanno colpito gli schizzi e i disegni che il geologo abbozzava per spiegarmi in maniera scientifica, ma elementare, tutto ciò che accadeva da milioni di anni in quelle aree. Così ho pensato di unire le mie foto, anche quelle non condizionate dalle sue spiegazioni, alle sue competenze geologiche».

Fabio Barile: ieri, oggi. E domani?
«Quotidianamente mi interrogo su tutto ciò che mi circonda. Sono passato dalla musica alla pittura, dalla fotografia alla geologia, e nel connubio di questi due ultimi per ora ho trovato un equilibrio di interessi, ma non ho intenzione di pormi dei limiti o dei vincoli. Vedremo».

PROGETTI

Dopo un primo approccio alla geologia, è diventato di giorno in giorno più interessato a questa scienza e ha sentito il bisogno di comprendere il paesaggio che era intorno a sè: come è stato generato e quali sono state le dinamiche di evoluzione e formazione. Il lavoro è un’indagine attraverso immagini dalla intricata e complessa forma del terreno che risale a 4,5 miliardi di anni fa, un insieme di esperimenti, di evidenze geologiche del paesaggio che, come un puzzle, creano un panorama dai molteplici aspetti geologici. Il progetto, che ha l’intento di andare oltre la storia umana, nel suo passato e nel suo futuro, vuole essere un omaggio alla brillantezza di persone che attraverso la scienza hanno dato un ordine al disordine, effettuando collegamenti senza precedenti tra cose diverse e aprendo nuove prospettive oltre i confini della conoscenza umana.

Info: www.fabiobarile.com