L’intervento di Adrian Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, curato da Irene Calderoni, si pone come un’autentica invasione ideologica all’interno degli spazi bianchi dell’istituzione torinese, ripensati e stravolti dall’artista argentino in funzione di una poetica fortemente connotata da specificità metodologiche e stilistiche che eludono i confini della tradizionale creatività artistica, sfociando in una dimensione registica che centralizza l’esperienza performativa sia di chi concepisce l’opera che di chi la visita.
Lo spazio dell’ingresso solitamente usato per accogliere i visitatori è ora coperto da un muro bianco, svuotato della sua originaria funzione così come la parte sinistra della struttura, con la costante silenziosa di piccoli accumuli di oggetti quotidiani disseminati qua e là senza apparenti motivazioni. La bassa temperatura della luce che si avverte negli ambienti della mostra viene addirittura annullata nella prima sala del lato destro, dove l’artista affida al buio il compito di presentare ancora un muro bianco e di abituare l’occhio del visitatore a un’atmosfera cupa, quasi spettrale. Si afferma come centrale all’interno del percorso espositivo l’ambiente successivo, ricavato dall’abbattimento di alcune pareti divisorie e che quindi gode di una dimensione volutamente accresciuta, che alla debolezza luministica affianca una popolosità di tracce naturali e artificiali, le reali protagoniste del progetto. Infatti un gran numero di massi rocciosi e tronchi fossili, scorti dall’artista nel paesaggio turco, abitano uno spazio che sembra essersi liberato di una marea e che reca i segni di una desolazione a tratti anche inquietante. E abitano un tempo che ora pare cristallizzato, ma che, attraverso residui di vita reale come carcasse di pesci, suppellettili varie, frutta di ogni sorta, posti su questi basamenti occasionali, che quindi si aggrappano energicamente a un flusso vitale che non si è interrotto, anzi è vivo e tangibile nelle trasformazioni chimiche e fisiche a cui soprattutto gli oggetti organici vanno incontro, è forse colto nella fase di attesa di una rinascita.
Tenendo conto di ciò, si tratta anche di un’esperienza sinestetica che riscopre un’archeologia di un passato non troppo lontano ed è la visualizzazione di un modo di concepire la pratica artistica che evidentemente segna la traiettoria di Villar Rojas attraverso la scelta e il recupero di materiali quasi mai convenzionali e l’adozione di un canone della scultura legato alla site-specificity spesso di grandi dimensioni e in stretta connessione con lo spazio espositivo, che come in questo caso ne subisce le conseguenze. Il modus operandi dell’artista è stratificato e prevede dei tempi di osservazione, scoperta e acquisizione dei materiali, e di una ragionata, quasi maniacale realizzazione, confortato dall’indispensabile contributo di una equipe di assistenti che sono interamente partecipi di tutte le fasi, coprotagonisti di una storia diretta da Villar Rojas, un racconto in più episodi probabilmente legati tra di loro, che si arricchisce con il passare degli anni e che consente al giovane artista di vantare già una serie importante di partecipazioni, dal padiglione argentino alla Biennale di Venezia del 2011 alla Documenta del 2012, alla personale settembrina alla galleria newyorchese di Marian Goodman.
Rinascimento è la prima personale in una istituzione italiana e considerata la portata dell’impresa artistica e curatoriale appare ora come un tassello decisivo nel composito mosaico che Villar Rojas sta realizzando su scala mondiale. Rinascimento.
Fino al 28 febbraio, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, via Modane 16, Torino; info: www.fsrr.org