Blue and Joy a New York

”Nelle mostre noi non veniamo per guardare le cose. Entriamo semplicemente, e siamo coinvolti in modo passivo o attivo a seconda della nostra attitudine a impegnarci, così come quando svolgiamo un ruolo quando usciamo fuori da qualsiasi spazio, urbano o privato. Siamo noi stessi le forme (anche se spesso non ne siamo consapevoli). Indossiamo vestiti di colori diversi, possiamo muoverci, ascoltare, parlare, osservare gli altri in maniera diversa; e così facendo modifichiamo costantemente il senso del lavoro. Credo che questa pratica dia ai visitatori una responsabilità molto maggiore di quella a cui sono abituati. Il successo di un’opera dipende anche da loro oltre che dall’artista”. Allan Kaprow, Notes sur la création d’un art total, 1958.

Se dovessimo, per ipotesi, delineare la storia dell’ultimo secolo concernente il rapporto tra pubblico e opera d’arte risulterebbe evidente narrare, in prima istanza, la scelta delle avanguardie storiche di stimolare un atteggiamento partecipativo nei confronti dello spettatore. Differenti ed eterogenei possono essere le pratiche condotte in seno a tale procedimento: stimolazione tattile, definizioni percettive circostanziali, dinamiche afferenti al contesto di esposizione, coinvolgimento fisico attivo, inneschi di sollecitazioni sensoriali. Nelle molteplici istanze di coinvolgimento il successo di un’opera, come ben ribadisce Kaprow, non solo è nelle mani di un artista ma anche negli occhi del pubblico che la osserva.

An Inevitable Success, ultimo progetto espositivo di Blue and Joy, duo italiano residente a Berlino e costituito da Daniele Sigalot e Fabio La Fauci, presentato l’8 ottobre nella galleria Ca’ D’Oro di New York, si inserisce a pieno titolo nel ragionamento esposto da Kaprow. Blue and Joy è un progetto artistico nato dieci anni fa attraverso l’elaborazione di due personaggi ispirati al linguaggio proprio del fumetto e caratterizzati da avventure ironiche quasi sempre connaturate da un finale scoraggiante. L’ironia è la componente essenziale che non hai mai lasciato il lavoro di Sigalot e La Fauci, dal 2005, data della prima esposizione nel barrio gotico di Barcellona, il linguaggio di Blue and Joy si è evoluto in seno all’utilizzo di un supporto malleabile e plastico come l’alluminio. Le sperimentazioni che caratterizzano il percorso del duo artistico iniziano con l’acquisizione di una compagine spaziale e installativa: aeroplanini policromi di alluminio contaminano lo spazio, mosaici composti da pillole delineano inedite scene figurative, la resa materica e la sua falsificazione del reale sono alla base del progetto e innescano orizzonti fruibili di un’estetica mai fine a se stessa.

L’esposizione di New York rappresenta la sintesi di un percorso complesso e mai univoco: i fumetti originali presentati sul supporto di alluminio innescano le medesime figurazioni tragicomiche, il mosaico dell’opera I wish I was an oil painting riflette le dinamiche umoristiche del progetto mentre la grande installazione intitolata Donald Trump does not exist, lavoro caratterizzato dalla scomposizione pixelata di post it d’alluminio dove appaiono diverse scritte riferite a celebri frasi pronunciate dal magnate americano, avvia un nuovo livello di percezione ottica e determina un ulteriore elemento di lettura dell’opera laddove la scomposizione dell’immagine dà avvio a una frammentazione astratta della forma. L’avvicinamento al mosaico produce dunque la sua inesistenza figurativa per entrare nel vivo del pensiero di Trump, frutto di quell’aggressività capitalistica che genera forme di idolatria ed imitazione, celebrando le controversie sociali ed economiche alla base del sistema statunitense.

Blue and Joy sembrano aver preso dai precetti duchampiani quella capacità innovativa e sempre rivoluzionaria di donare all’arte il senso di un equivoco, sono questi giochi, di cui ignoriamo le regole, le rappresentazioni espressive il cui fine ultimo non è un’esegesi linguistica, bensì la descrizione di una forma architettonica del reale, poiché proprio l’esperienza quotidiana ci insegna a diffidare di un’unica soluzione interpretativa. Sigalot e La Fauci determinano nell’oggetto artistico la possibilità di narrare un carattere specifico associato ad una forma duratura e carica di senso, al medesimo tempo questo procedimento consente di spostare l’attenzione dai segni specifici del formale indirizzando il fine estetico verso i piaceri procurati da un’indeterminazione, da una casualità, in quel rifiuto di estetizzare la forma ”trattandola come un fine obbligato”.

Fino all’8 novembre, galleria Ca’ D’Oro, 529 West 20th street, 9th floor, New York; info: http://ca- doro.com/newyork