Le maschere di Kokocinski

La mattina è il momento migliore per visitare una mostra, specie un’anteprima. Poca gente davanti a Palazzo Cipolla, quasi tutti giornalisti e appassionati, pronta a varcare la soglia della Fondazione Roma Museo per la retrospettiva su Alessandro Kokocinski. Poi le porte si spalancano, si apre il sipario e lo spettacolo ha inizio, nudo e crudo, senza preamboli o presentazoni. La vita e la maschera: da Pulcinella al Clown, questo il sottotitolo scelto per la rassegna, curata da Paola Goretti, che ripercorre per sezioni tutti i temi toccati dall’artista nel corso dei suoi anni di vita, o di arte, che poi in Kokocinski è lo stesso. Una vita che viene voglia di raccontare, perché non noiosa, ma fatta di circhi, avventure, incontri. Nato a Porto Recanati da madre russa e padre polacco, a pochi mesi si imbarca con i suoi per l’Argentina, per poi raggiungere il Brasile, dove entra a far parte di una comunità di indios Guaranì e infine viene affidato dai genitori a un piccolo circo uruguayano con cui farà il giro dell’America Latina. È lì che l’artista inizia a disegnare i caratteri della sua arte, prima come scenografo teatrale, poi come pittore. Quando arriva in Europa, a ridosso degli anni ’70, inizia a esporre le sue opere e a collezionare successi, supportato da grandi intellettuali come Vedova, Sughi, Attardi, Moravia, Pasolini e collaborando con personaggi del calibro di Lina Sastri e Rafael Alberti.

Tutto questo e molto altro si tocca con mano nell’esposizione romana: «Se è vero che nella produzione artistica confluiscono le esperienze vissute – afferma Emmanuele F.M. Emanuele, Presidente della Fondazione – lo è ancora di più per Kokocinski, la cui arte è l’immagine trasfigurata di un uomo tormentato, che ha sperimentato su di sé l’esilio, la persecuzione poilitica, la discriminazione sociale, in una parola, la cattiveria del mondo». In un percorso articolato per sezioni e non per date, ci si trova faccia a faccia con i volti dell’umanità, impastati con il colore e con la cartapesta, informali, materici a tal punto da trasformarsi in sculture, che vengono fuori dai quadri, come anime dannate risputate dagli inferi. I Pulcinella, Petruska o i Clown, sembrano arrivati più che dal folclore napoletano, o dai balletti russi, direttamente dal labirinto del minotauro di Georges Bataille. Una sfilata di maschere pirandelliane che non vivono soltanto nel modo fantastico da lui dipinto, ma svelano uno studio profondo della società, sempre proiettato nell’attualità  e che, tra malinconia e velata tristezza, forse solo in lontananza lasciano intravedere un barlume di speranza. L’allestimento ben si adatta alle opere, senza prevaricarle, ma cercando di trovare continui rimandi e affinità con i temi della mostra, attraverso specchi, suoni, video e voci. Tra queste, la più significativa, quella dello stesso Kokocinski, che compare solo a metà mattina e, con tono pacato, forse un po’ restio a parlare davanti alla telecamera, usa ancora una volta il suo pennello elegante, dolce ma tagliente per dipingere la società: «Parlare delle mie opere è difficile, rischio di distruggere le immagini. Si parla troppo e troppo spesso a vanvera. In Italia c’è una situazione intellettuale falsata, è difficile fare cultura. Io cerco solo di fare bene quello che so fare».
Dal 17 settembre al 1 novembre; Info: www.fondazioneroma.it

 

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