Josh Smith: un gesto seriale

Il Macro di Testaccio ospita una mostra di Josh Smith, un’antologica che racchiude circa cento opere realizzate per l’occasione appartenenti a tutte le serie prodotte dall’artista statunitense: Name Paintings, considerati i suoi dipinti più significativi e realizzati a partire dalle lettere che compongono il suo nome; Palette Paintings, frutto dell’azione di pulitura del pennello sulla tela, gesto a partire dal quale si innesca la composizione; Abstract Paintings e i Collage. Spazio anche per due video e gli Stage Sculptures, strutture minimali in legno e tela illuminate da quattro fari.

La mostra si snoda nei due ampi padiglioni del Macro, dove le opere sono esposte su registri sovrapposti, come avveniva nei musei ottocenteschi, con un senso di horror vacui che non lascia spazi vuoti. Una mostra quindi che lavora di accumulo e non di selezione e sottrazione, in conformità con quanto fa l’artista che realizza moltissime opere in un arco di tempo estremamente limitato. Dietro alla sue grande e rapida produzione si legge una riflessione sul rapporto tra serialità e autorialità. L’artista sembra produrre in serie, per la quantità e velocità di realizzazione ma la sua è una serialità fortemente connotata sul piano autoriale, in cui il gesto non si fa mai anonimo e spersonalizzato, ripetitivo, ma si riautogenera ogni volta. È il gesto stesso che si fa seriale, ma l’artista non rinuncia a esibire il proprio nome, fonte primaria da cui scaturisce l’opera e marchio di autorialità estremamente forte e pervasivo.

Nell’intervista rilasciata al curatore Ludovico Pratesi, descrive così il suo approccio alla pittura: «All’inizio dipingere significava semplicemente ricoprire una superficie, sia per coprire qualcos’altro sia per renderla migliore. Dopo aver continuato con questo approccio per circa dieci anni, ho iniziato a sapere trattare l’applicazione del colore, riflettendo più sulle gradazioni cromatiche. Le immagini hanno iniziato ad apparire. Imparo sempre qualcosa e intanto dimentico qualcos’altro, mi piace reagire ai miei lavori mentre li elaboro, non sono interessato alla perfezione, credo sia il nemico della scoperta e della creatività. Per quanto riguarda la mia arte, mi piace l’idea del fallimento, il successo sembra troppo facile, voglio sentirmi in dubbio e a disagio, questi sono i sentimenti che più mi ispirano. Rispetto la superficie piatta di un quadro e credo sia un campo di gioco chiaro e imparziale, devo le persone possono provare a comunicare». Nelle sue opere si legge chiaramente il forte legame con la tradizione statunitense: il gesto pittorico libero che rimanda all’Espressionismo Astratto, il segno libero e quasi infantile alla Cy Twombly, solo per indicare i più evidenti. E poi le citazioni da Picasso e altri riferimenti alla tradizione europea, come l’uso del collage. Quasi un compendio, un’antologia della storia dell’arte da vivere e scoprire.

Fino al 20 settembre, Macro, piazza Orazio Giustiniani 4, Roma; Info: www.museomacro.org