Howard Shatz, Body Power

C’è tempo fino al 7 giugno, nella sala Ipluvium della Triennale di Milano, per visitare la prima mostra italiana del grande fotografo americano Howard Shatz, Body Power, progetto espositivo concepito e realizzato da Repower, società svizzera attiva nel settore energetico a livello internazionale. La campagna di comunicazione 2015 della società, affidata al fotografo americano, ha visto l’evoluzione di questa collaborazione sfociare nella realizzazione della mostra in Triennale. Con il contributo di Sudest57, agenzia che rappresenta in Italia Schatz, e della sua fondatrice Biba Giacchetti, per l’esposizione sono stati scelti quaranta scatti rappresentativi dei venticinque anni di carriera dell’artista presi da progetti vari legati al mondo della danza, della box, dell’atletica e dello studio della luce sui corpi. Ad accompagnare le immagini, la pubblicazione della nuova retrospettiva legata all’artista, fortemente voluta dalla ex responsabile della sede americana della Rizzoli.

Quattro milioni di immagini totali in trentadue differenti progetti sintetizzati in circa mille scatti contenuti nel volume. Un impegno, questo, che l’artista ha accettato inizialmente con titubanza, fino a che il suo ego non ha avuto la meglio. L’allestimento, curato da Peter Bottazzi, si compone di fotografie montate su light box che hanno il compito di esaltare e considerare il corpo come un “insieme di frammenti fatti di forza”. Al centro, un grande mobile che ricompone il corpo, sulle pareti, invece, fotografie in alternanza di corpi a figura intera e particolari ingranditi per creare un senso di velocità, come fossero una sequenza di scatti. Shatz, brillante medico specializzato in oftalmologia, dal 1995, anno in cui ha deciso di trasferirsi con la famiglia da San Francisco a New York e di dedicarsi completamente alla sua grande passione per la fotografia, nell’arco di venticinque anni ha immortalato nei suoi scatti l’energia e la perfezione del movimento e del corpo. La maggior parte degli scatti in mostra ha come protagonisti ballerini di varie compagnie americane (American Ballet Theatre, New York City Ballet, Davd Parsons Company, Alvin Ailay Company e molti altri), realizzati soprattutto tra il 1996-97 anche se per tutti questi 25 anni il fotografo ha continuato a lavorare sul tema.

«I ballerini sono gli ‘angeli’ della fotografia perché sanno ascoltare le direttive del coreografo. Questa loro attitudine li rende completamente plasmabili, competitivi, pronti a qualsiasi sacrificio per continuare a lavorare. Questo rende il mio lavoro molto più semplice anche perché, sia io che loro, facciamo ciò che ci rende maggiormente felici – racconta Schatz – la fotografia della danza non può competere con l’esibizione dello spettacolo live, che è emozionante, movimentato, sonoro; le fotografie sono piatte, per loro natura, e silenti. Nei miei progetti, quindi, ho invitato i ballerini a esibirsi davanti alla fotocamera per congelare un’emozione, esaltare l’esplosione del movimento, usare il copro come scultura, rendere la foto misteriosa e affascinante».

Ogni immagine racconta ed è legata a una storia particolare e precisa, che riguarda, ad esempio, il lavoro in team con i perfomers della Compagnia di Alvin Ailay, con il quale ha trovate un modo per rendere la foto di una presa piacevole e leggera. «I piedi profondamente appoggiati a terra per sostenere il peso non rendevano l’immagine gradevole a vedersi e così ho deciso di far saltare per una frazione di secondo la coppia per catturare quell’attimo di sospensione. Importante è il punto di vista delle mie immagini, che sono sempre frontali o con i soggetti perfettamente perpendicolari all’obbiettivo fotografico». Non solo punte e slanci, ma un corpus che parla, attraverso immagini e frammenti ravvicinati, anche del meraviglioso corpo dei giocatori di calcio americano, impegnati solo cinque mesi l’anno per il campionato e in perenne allenamento per rendere la loro macchina corporea perfetta. O della campionessa mondiale di triathlon, una donna con una capacità respiratoria polmonare incredibile, tanto da farle battere gli sherpa in corsa sull’Himalaya, che è riuscita a vincere tutte le gare possibili grazie solo a questa sua innata qualità. Infine, un piccolo omaggio alla città di Milano con un’ultima cena subacquea a darci l’arrivederci. Delicatissima e allo stesso tempo onirica, questa piccola esposizione riesce a farci riflettere sul tema di potenza e bellezza e riesce, con entusiasmo, a farci comprendere come la misura di tutto sia ancora l’uomo.

Fino al 7 giugno; Triennale, viale Alemagna 6, Mialno; info: www.triennale.org

 

Articoli correlati