Cronache della città di Ur

Qualcuno non sia solo. Era stato questo poetico gruppo scultoreo di felliniana memoria a far vincere allo scultore palermitano Daniele Franzella (già vincitore del premio Axa nell’ambito del Talent Prize 2013) l’edizione 2014 del premio FAM Giovani che le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento riservano ai giovani artisti siciliani. Ed è nell’ambito dello stesso premio che Franzella, nella sua prima residenza d’artista, ha inaugurato la sua mostra a Düsseldorf Cronache della città di Ur. Nel corso del suo soggiorno in Germania, con un atelier di scultura a disposizione, Franzella ha realizzato un nuovo ciclo di opere. Ancora una volta sculture in terracotta, anche se questa volta essa si mescola insieme ad altri materiali, diversi, come il lattice, il gesso, l’argilla, il cemento. Ancora una volta la malinconia investe i volumi e le espressioni incise nelle figure, ed ancora una volta, come già era stato per Qualcuno non sia solo, racconto, indagine psicologica e scavo si miscelano al materiale, mentre Franzella ancora lo modella. Escavazione nelle pieghe d’espressione, negli sguardi, nell’anima e nella memoria. Come nel caso di questa esposizione che pare essere una summa di tutti quegli elementi che fanno della scultura di Franzella una poetica narrazione.

«La narrazione – come spiega il curatore dell’esposizione, Alessandro Pinto – di una spedizione in una città utopica, attraverso un racconto scandito da salti temporali. Ogni opera della serie è come una tessera di un mosaico mutilo, che spinge l’osservatore ad interrogarsi sulla utilità della spedizione, sulla disciplina e sulle cose che sembrano opportune». Una riflessione sul conflitto e sui conflitti, di cui non resta altro che una bandiera ingrigita, dove nessun colore è più riconoscibile poiché qualsiasi colore è ormai riconducibile allo stendardo in nome del quale ogni popolo, ogni paese, combatte. Segno di quella massificazione, di quella “democrazia” delle guerre moderne, ma indice anche dello svuotamento degli ideali patriottici. Macigno in cemento, privato del tutto della sua utilità e del suo originario valore. E sull’utilità Franzella riflette ancora, nella sua opera Dell’utilità, della disciplina e delle cose che ci sembrano opportune. Un gonfalone in lattice, appeso a un chiodo come le scarpe di quel comune detto che ci suggerisce di lasciar perdere qualcosa. Anzi, di interromperla, di porvi fine senza però dimenticarla. E a cos’altro, più che alla guerra, si dovrebbe porre fine? Di cos’altro si deve tenere vivo il ricordo? Pur essendo un ricordo pesante, come un gonfalone che non sventola più. Pur se un ricordo sbadito e claustrofobico come sbiaditi sono i volti dei quattrocento soldati incisi nel lattice. Pur se un ricordo ingrigito dalla cenere delle macerie e della polvere da sparo. Luttuoso fallimento che ci pone il greve interrogativo sulla reale utilità del conflitto e di quella morte, sulla quale spesso si stendono le bandiere in nome delle quali si combatte. Info: www.duesseldorf.de/kulturamt/atelierameck/

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