Silva Imaginum

La mostra di Sophie Ko Chkheidze curata da Federico Ferrari per la Galleria Renata Fabbri
di Milano

Troppo spesso capita di imbattersi in performance contemporanee inopinate o di trovarsi di fronte a installazioni sgargianti dal dubbio gusto e dall’inesistente background. Troppo spesso non capiamo, fingendo di capire, oppure rimpiangiamo, in un silenzio condiviso con pochi, i nostri studi classici e moderni. In questa mostra tutto ciò non accade, anzi, è proprio il caso di dire che, talvolta, ci capita di tirare un profondo sospiro di sollievo. La mostra Silva Imaginum, curata dal filosofo italiano Federico Ferrari, è un’ottima occasione per conoscere i lavori di una giovane artista, per interrogarsi sulla pratica curatoriale e per riflettere sulla contemporaneità. Sophie Ko Chkheidze è una giovane artista georgiana, diplomatasi sia all’accademia di Tbilisi che a quella di Brera, un’artista che affonda le radici della sua ricerca artistica nella forma, nell’iconografia e nel simbolismo. Nella prima sala della mostra spiccano, anche grazie a un’interessante scelta espositiva, i suoi Inni alla notte (Geografia temporale). Si tratta di grandi pannelli neri, all’interno dei quali si mischiano pigmenti di colore e cenere di immagini bruciate. La scelta intelligente e mirata del titolo non basta a descrivere come il loro mutare materico nel tempo abbia cambiato la percezione “geografica” delle costellazioni che compone.

Tuttavia, per comprendere la sua ricerca sarebbe necessario partire dai lavori di combustione. I Punti Cardinali esposti nella seconda sala della galleria, sono i resti incombusti di grandi immagini date alle fiamme. Ciò che si salva dalle fiamme è casuale, ma è l’artista, successivamente, a posizionare i resti incombusti su dei gradi fogli bianchi, conferendogli organicità e coerenza. Si ottiene uno studio quasi fenomenologico della gestualità. Al piano inferiore lo stesso metodo è applicato a Waldgänger: una serie di combustioni incomplete dalle quali emergono alberi e scorci d’orizzonte. La serie prende il nome dalla figura dell’uomo ribelle dell’opera di Ernst Junger che, dandosi alla macchia, trova rifugio e tregua dalla società. Ecco che la combustione diventa metafora del vorticoso consumo che avvolge la società moderna. I resti non arsi delle immagini sono simboli di speranza, a volte utopici, come i boschi e le foreste, altre più semplici e sottovalutati come i gesti quotidiani. Sono, o pretendono di essere, le nostre sicurezze, i nostri punti cardinali. Le opere composte da pigmento di colore puro sottolineano l’importanza dell’essenza, della matericità e del suo divenire, nonostante le costrizioni imposte dallo spazio che le ospita e dall’artista stessa che le crea. La mostra è accompagnata da un quaderno d’artista frutto della collaborazione tra il filosofo e curatore Ferrari e Sophie Ko Chkheidze. In questo susseguirsi di immagini, rimandi e riflessioni, terminata la mostra, vien quasi voglia di riprendere in mano un bel libro di Panofsky o di rivedere un film di Chris Marker. Tirando le somme. Le scelte curatoriali non deludono, né denotano una semplice aderenza alle mode; il pensiero critico del curatore emerge chiaramente attraverso la scelta delle opere e del loro allestimento; l’artista esegue una ricerca coerente e concreta. Ecco i pochi, ma preziosi ingredienti che non solo garantiscono la buona riuscita di una mostra, ma che permetto di comprendere la giusta direzione in cui, pochi, ma avveduti soggetti, sanno condurre il panorama dell’arte contemporanea.

Fino al 10 luglio,RenataFabbri Arte Contemporanea, via Stoppani 15/C, Milano; Info: www.renatafabbri.it

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