Autoritratto di donna

Roma

Gli autoscatti di Sarah Bloom hanno attirato l’attenzione dei media internazionali, in tanti hanno paragonato il suo lavoro a quello di Francesca Woodman e di Anne Arden MacDonald. L’abbiamo intervistata per capire il perché.

Sei un’autodidatta, hai iniziato a scattare per passione condividendo le tue fotografie in rete, smettendo e ricominciando tante volte. Poi è arrivato 365 Days – un concorso online che richiedeva ai partecipanti di realizzare tre autoritratti al giorno per 365 giorni – e tutto è cambiato. Come ti senti quando le persone usano il termine arte, per definire i tuoi progetti? «Credevo di non farcela a durare così tanto, invece una volta terminato il concorso non ho più smesso. 365 Days si è sviluppato con un processo che ha toccato dei livelli artistici, in certi momenti, mi ha insegnato molto e mi ha fatto crescere. Quei ritratti toccano una tematica diversa per ogni anno pur formando un’unica grande serie. La serie Self, Abandoned invece, è semplicemente arte, non userei il termine progetto per definirla, la sua natura è differente da quella di 365 Days».

Com’è scattata la voglia di mettersi a nudo per fotografarsi negli spazi abbandonati? «Avevo già iniziato a scattarmi molte foto di nudo, prima di provare a farlo in un edificio abbandonato. Dopo la prima volta, ho capito subito che avevo trovato la mia voce. Il nudo non è l’obiettivo di queste immagini, ma è quello che colpisce maggiormente, in realtà per me è stata una scelta naturale poichè la passione per la storia dell’arte ha accompagnato la mia vita. Il nudo è il corpo umano nella sua forma più naturale, semplice, vulnerabile e potente allo stesso tempo. Self, Abandoned diventerà una serie sempre più intima, con il tempo, io invecchierò e la pelle del mio corpo si riempirà di rughe (ndr, Sarah ha 45 anni)».

Parlando di vecchiaia, tu affermi: «Vivo l’idea di invecchiare inizialmente con terrore, poi resistendogli, infine accettandola. Nella mia esperienza questi passaggi non sono lineari». La condizione di abbandono dei luoghi riflette più un tuo stato d’animo o è un dito puntato contro l’atteggiamento della società verso questa tematica? «Entrambe le cose, forse più un riflesso della mia interiorità, la mia risposta alle pressioni della società nei confronti delle donne».

Possiamo considerarlo un rituale? «Una sorta di esorcismo contro l’invecchiamento?Si, possiamo considerarlo un esorcismo ma non si tratta di un esorcismo contro l’invecchiamento, bensì contro lo stigma. Non sto scappando dalla vecchiaia».

La tua iniziativa ha ricevuto l’attenzione dei media internazionali, che idea ti sei fatta in proposito? «Sicuramente dipende dal nudo, una faccenda molto controversa qui in America. Nonostante il nudo non fosse il tema principale, i titoli degli articoli sul mio lavoro rimandavano soprattutto a quello. Si tratta di una tecnica per attirare click e funziona. E per carità, sono grata dell’attenzione. Ma non ho scattato nudi per ricevere quel genere di visibilità. Ho incominciato nel 2007 e continuerò finché il mio fisico me lo permetterà».

Che significa un autoritratto, per una donna? «Controllo. Trasformazione. Scoperta. Forza. In tutte le fasi del mio percorso ho imparato qualcosa su di me e ho avuto una crescita esponenziale, come artista e come fotografa. Alle donne in particolare, ma in realtà a tutti, consiglio di scattarsi quotidianamente dei ritratti anche solo per un mese e senza doverli mostrare per forza a qualcuno, perché non ci guardiamo. Non apprezziamo i nostri corpi. Questo mi ha aiutata ad essere più gentile con me stessa riguardo al mio corpo, a vedermi più chiaramente. Provate».

I titoli che dai alle tue fotografie sembrano più un flusso di coscienza. «Si, i miei titoli sono strettamente collegati al lavoro profondo della mia mente. Spesso sono tratti da poesie o frasi di canzoni che modifico».

Come ti ha accolta la comunità che gravita attorno agli spazi abbandonati? «Ci sono diversi sottogruppi all’interno della comunità urbex (urban exploration) e qualche sovrapposizione. Ci ho messo un po’ a trovare la mia nicchia. Ci sono standard e gerarchie in ogni gruppo, sembra. Vista la natura illegale dell’attività, le persone non si fidano molto all’inizio (e non dovrebbero). Alcune persone si assumono rischi non necessari e altre sembrano più concentrate sull’aspetto modaiolo. Io sono stata fortunata, ho iniziato con un partner e poi ho trovato una comunità di persone che ha iniziato a supportarmi, ad essere gentile con me. Così adesso ho costruito un gruppo di contatti fissi che posso raggiungere ogni weekend per andare in questi posti».

Oltre a Self, Abandoned che è una serie in continuo divenire, a cosa stai lavorando adesso? «Sono nel pieno del mio progetto con gli autoritratti e scrivo una sorta di diario. Sto cercando nuove location, prevalentemente case abbandonate. Ho lavorato anche con altri media, intervenendo direttamente sulle stampe delle fotografie . So che appaio come una narcisista, facendo molti autoritratti, ma credo che tutti creiamo un manifesto di noi stessi. Il mio è solo più palese».

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