”Questi studiosi contemporanei troveranno sempre uno scoglio insormontabile finché non avranno colmato una lacuna sensibilissima in tutto il pensiero moderno: l’incomprensione di quello che è intenzionalità nell’atto conoscitivo. Conoscere per i moderni è soltanto atto immanente, identità immediata di oggetto e soggetto, con distruzione dell’opposizione reale tra i due termini. Molti ormai sembrano incapaci di comprendere che possono darsi delle immagini oggettive. Tutta la loro struttura le porta ad essere soltanto rappresentative: sono intenzionali, cioè tendono ad altro. Io non vedo l’immagine della retina, ma mediante l’immagine della retina vedo il colore, l’oggetto. Così pure, io non conosco direttamente le mie idee o il mio pensiero, ma mediante le idee io conosco gli oggetto”. Questa lunga prefazione tratta da un compendio di analisi sul pensiero di San Tommaso D’Aquino, evoca, attraverso un procedimento estetico filosofico, le percezioni sensoriali che prova lo spettatore dinnanzi le opere di Alessio Ancillai. L’artista romano ha presentato al pubblico, negli spazi della galleria Pio Monti, un corpus di opere intitolate Umano Specie Specifico (luce e sangue) dove l’elaborazione plastica della materia coincide con una visione dilatata dei procedimenti fisici e anatomici che coinvolgono l’essere umano.
Ancillai avvia la sua ricerca in seno agli studi di medicina, la luce, in particolare, diviene un fattore determinante per l’artista in quanto richiama le esperienze primordiali della nascita. La luce, infatti, è la componente che innesca nei primi stadi dell’individuo l’attività celebrale, una riflessione che porta l’autore a interrogarsi sulla componente irrazionale che caratterizza l’evoluzione dell’uomo. Nelle opere di Ancillai l’elemento luminoso taglia la materia, una ferita profonda sembra dare vita alla plasticità scultorea della tela. Un materiale che resiste inerte all’inconsistenza lucente dei led, materia che cattura lo sguardo, che stimola la vista in un’esperienza percettiva mai univoca. La retina, dunque, diviene il diaframma della nostra esperienza interiore, della nostra capacità di dare all’immagine una personale rappresentazione immaginifica.
”Basterà questa precisazione per fare intendere che le nostre idee hanno una doppia intenzionalità. Direttamente tendono a farci conoscere l’oggetto. In un secondo momento, riflettendo sull’intima struttura della rappresentazione come tale, il conoscente si accorge che essa presenta una struttura sua propria, non singolare come la realtà corporea, bensì universale e spirituale”. Nuovamente le parole di San Tommaso D’Aquino ci conducono verso una rappresentazione spirituale dell’oggetto, vi è nel lavoro di Ancillai una componente epica, i drappi appesi attraversati dalla linea retta di luce, narrano di memorie occultate, di eventi percettivi concernenti esistenze anonime, pervase da una sedimentazione onirica e irrazionale. L’artista inferte il suo taglio iridescente in modo chirurgico, riprendendo, in una ekphrasis visuale, ciò che Fontana aveva compiuto squarciando la tela, Ancillai traduce la lacerazione in concetto laddove la linearità luminosa avvia il pensiero, rende concreto l’intellegibile.
I differenti medium con cui l’artista si interfaccia includono anche una matrice videografica e audio sonora, in cui Ancillai ha declinato in maniera eterogenea le molteplici letture del suo lavoro. Dall’Illuminismo settecentesco alla nostra contemporaneità la luce è portatrice di intelletto e di sapienza, di una coscienza razionale che segna l’operato dell’uomo, eppure Ancillai scardina ogni retaggio concettuale per oltrepassare il confine labile tra reale e immaginazione, per mostrare agli occhi dell’osservatore un nuovo ordine che sonda l’irrazionale, riaffermando la priorità viscerale della natura dell’uomo, l’istinto di una volontà collettiva che genera nuove immagini di un mondo decodificato dai nostri sensi.
Fino al 18 maggio; Pio Monti arte contemporanea, piazza Mattei 18, Roma; info: www.piomonti.com