Parla Gloria Porcella

Il sogno americano rappresenta, nella mitologia contemporanea, la realizzazione di un’aspirazione, di un ideale, di una visione spesso connaturata da una generale insoddisfazione verso le difficoltà, specie nel settore artistico, generate dalla propria madre patria. New York diviene quindi l’incarnazione di un desiderio, il centro mondiale dove stili, mode, tendenze acquisiscono un’identificazione internazionale. L’arte contemporanea non è esente da questo processo made in USA, comprendere le differenze tra il mercato italiano e il sistema statunitense delinea l’incipit per approfondire le dinamiche che regolano questo scambio osmotico. Gloria Porcella, gallerista e direttrice delle filiali della prestigiosa Ca’ d’Oro di Miami e New York, interpreta perfettamente l’idea del sogno americano, una donna che, partita dall’Italia, ha trovato oltreoceano una dimensione professionale su cui tessere le fila di un nuovo rapporto con il mercato statunitense. Abbiamo intervisto Porcella cercando di comprendere quali scelte l’hanno condotta verso un sistema artistico così complesso e variegato, tentando di scoprire quale ruolo ricopre oggi la giovane arte italiana nel mondo.

La galleria Ca’ d’Oro nasce a Roma nel 1970 per volontà di suo padre Antonio Porcella e grazie anche a una grande tradizione di famiglia che vede in suo nonno, Amadore Porcella, una figura portante della storia dell’arte in Italia. Cosa ha significato per lei aver ereditato un simile bagaglio culturale dalla sua famiglia?

«Devo tutto alla mia famiglia se oggi sono quella che sono e soprattutto se ho trovato il coraggio, la forza, la passione, la determinazione, la tradizione e l’amore per continuare un lavoro così difficile e complesso proprio negli Stati Uniti, culla dell’arte contemporanea del mondo. Molti non sanno che mio nonno Amadore, che è stato molto osteggiato in vita per la sua immensa cultura e per la sua onestà intellettuale creandosi nemici illustri come il Longhi (per aver contestato delle attribuzioni in una mostra sull’arte spagnola alla Galleria Nazionale di Arte Moderna da lui curata), è stato il pioniere della famiglia con mio padre giovanissimo negli Stati Uniti alla fine degli anni ‘50 dove lavoro soprattutto nella costa Ovest del Paese. Mio padre ha saputo trasformare la passione di mio nonno nella sua vita professionale, differenziandola, occupandosi di arte contemporanea al tempo in cui grandi Maestri erano in vita, primo tra tutti Giorgio de Chirico, grande amico e testimone di nozze dei miei genitori, un vero genio, uno di quelli che ha fatto la Storia dell’Arte. La Galleria Ca’ d’Oro nella sua prima prestigiosa sede di Via Condotti è stata teatro di meravigliose ed importantissime mostre alle quali non mancavano mai grandi collezionisti, artisti e politici».

Nel 2010 il suo percorso professionale l’ha condotta negli Stati Uniti dove ha deciso di aprire le filiali americane della galleria Ca’ d’Oro, cosa vuol dire rapportarsi con il mercato artistico statunitense e soprattutto quali sono le differenze sostanziali nella visione del contemporaneo tra Italia e Usa?

«Purtroppo in Italia quel mondo che mio padre ha conosciuto, vissuto e che io da bambina ho visto non esiste più ed è anche per questo motivo che ho deciso di ritornare in USA, avendo studiato alla Università di San Diego (CA), un paese sempre in via di trasformazione e pronto a accettare e le novità, prima con una Galleria a Miami nel Design District e recentemente con la seconda filiale a Chelsea nel cuore della Manhattan dell’arte contemporanea. Bisogna dire una cosa molto importante che negli Usa il contemporaneo è molto più affermato del moderno che invece primeggia in Italia. Qui si ha voglia di novità. di giovani proposte, di idee nuove, se porti qualcosa di unico e nuovo qui trovi terreno fertile e soprattutto trovi il mercato. In Italia si ha ancora paura che se non si presenta un nome già noto non si possa avere seguito, spesso guardiamo troppo quello che accade fuori dal nostro Paese e portiamo nei nostri musei contemporanei artisti stranieri invece di promuovere i nostri giovani che per trovare fortuna devono sempre di più andare all’estero. Io credo che i nostri musei (tra i più belli al mondo) debbano promuovere prevalentemente i nostri talenti e aiutarli a farli crescere anche all’estero. Un’altra differenza che ho riscontrato è l’enorme collaborazione tra gallerie e musei, questi ultimi infatti comprano direttamente dalle gallerie creando un circolo virtuoso che consente un maggior interesse economico nell’arte. Questo punto è fondamentale ma è necessario abbattere dei provincialismi tipici del settore in Italia, coinvolgendo i privati nelle gestioni museali ed eliminando supposte “superiorità” intellettuali».

Cosa pensa, data anche la sua esperienza internazionale, della situazione culturale in Italia, soprattutto per quanto concerne il settore contemporaneo, crede sia abbastanza valorizzato o vi è una concreta mancanza di un tessuto connettivo ed istituzionale che non riesce a tutelare come dovrebbe questo settore?

«Credo che l’Italia abbia dimostrato da sempre di essere la patria della creatività in molti settori ed anche i nostri artisti sono decisamente un passo avanti rispetto agli altri, però constato a malincuore, che in questo settore non riusciamo ad emergere, forse perché quando si parla di Italia si pensa all’arte antica o forse perché l’arte contemporanea in Italia è ancora troppo legata alla politica, oggi nel mondo anglosassone il mercato lo fanno le case di asta e le fiere, duole dirlo ma una delle fiere più importanti al mondo che io frequento ogni anno, Art Basel di Miami Beach, ha una scarsa presenza di artisti contemporanei italiani. Mercato e cultura devono andare di pari passo, in Italia le gallerie sono penalizzate, vendere arte vuole dire anche promuovere la cultura, rischiare in proprio non con aiuti dello Stato, in Italia si pensa troppo a conservare e poco a proporre cambiamenti, il sistema museale italiano è poco snello, troppa burocrazia, non si può competere. Ci sono privati appassionati, collezionisti illuminati che svolgono il ruolo che dovrebbero svolgere le istituzioni ma ci sono anche tanti musei che svolgono un ottimo lavoro ma purtroppo non c’è mercato senza la collaborazione con le gallerie».

Se dovesse stilare un elenco di nomi di giovani artisti talentuosi della scena internazionale, anche italiana se lo ritiene opportuno, chi menzionerebbe?

«Vorrei citare solo italiani perché il mio obiettivo qui negli Usa è proprio quello di portare avanti artisti contemporanei italiani, sebbene sia molto difficile scegliere, visto che ce ne sono tanti e anche molto bravi, vorrei citare una ragazza, che ha fatto la sua prima mostra con noi a Roma quando era ancora studente alla Accademia di Belle Arti con il professore Gino Marotta, che ha sempre creduto molto in lei, Beatrice Scaccia. Beatrice ha vinto un concorso con il Ministero degli Esteri molti anni fa ed è venuta a fare una residenza a New York, lei è tornata qui, ha ottenuto il visto, ha avuto una residenza al Moma Ps1, lavora con Jeff Koons ed ha un grande seguito di collezionisti in tutto il mondo, è un esempio di dedizione e passione, ricordo l’amore del Professor Marotta che ha sempre giustamente creduto in lei. Oltre a Beatrice vorrei citare altri due giovani i Blue and Joy che quest’anno festeggeranno i loro dieci anni di attività con una personale alla galleria Ca’ d’Oro di NYC , eclettici, aggressivi, ironici, unici e con 1000 idee che ancora devono partorire, nascono nella pubblicità con la più grande agenzia la Saatchi and Saatchi e decidono giovanissimi che la loro strada era l’arte. Oltre alle mostre alla Triennale di Milano, il Macro di Roma, il Museo di Arte e Design del Miami Dade College e al Palazzo Reale di Napoli, lo scorso anno Fendi ,nei flagstore di tutto il mondo, li ha scelti come artisti rappresentativi del brand».

Quali progetti curatoriali prenderanno vita nel prossimo futuro all’interno della programmazione della galleria Ca’ d’Oro di New York e Miami?

«Non ci fermiamo mai, la originaria Galleria di Roma, oggi seguita da mia sorella Cristina che collabora con mio padre Antonio membro della Fondazione de Chirico, ha cominciato a seguire gli “street artists” e stiamo ragionando ad un progetto con loro sui Wynwood Walls (Miami), la sede di New York inaugura una mostra ogni 30 giorni ma soprattutto ci stiamo concentrando sulle fiere, da Los Angeles, a Palm Beach da Southampton a NYC, da Miami a Bologna dove vogliamo esporre il prossimo anno per la prima volta. E non mancheranno grandi progetti con ‘emerging artists’di cui sentirete parlare moltissimo, io sono venuta negli Stati Uniti per coronare come tanti l’american dream che per me è e resterà un Italian Dream».

Info: http://ca-doro.com