Donzelli, Diramante

Dal 3 aprile al 30 maggio l’Eduardo Secci contemporary di Firenze ospita la personale di Maurizio Donzelli, Diramante, curata dal newyorkese Bartholomew F. Bland. Esposti in mostra lavori piu recenti dell’artista, che fanno emergere un nuovo concetto di bellezza, diverso dai canoni tradizionali. Abbiamo incontrato Donzelli tra le sue opere in galleria per capire meglio il suo lavoro.

Come è strutturata la mostra?
«È divisa in tre ambienti, la prima sala si presenta al visitatore con una grande scultura appesa al soffitto e due grandi specchi alle pareti. La struttura centrale è un icosaedro, un solido platonico a venti facce di grandi dimensioni, che obbliga il pubblico a osservare le opere della sala attraverso il suo reticolo di triangoli. Con quest’opera ho voluto rendere omaggio alla città di Marsilio Ficino e Cosimo de’ Medici; è una sorta di talismano interiore, un pianeta, che accompagna la visione di un grande dittico, Mirror, che si trova nella sala attigua, formato dalle opere Stella e Stella/Diamante. Nella stessa sala sono esposti anche una serie di acquerelli di piccole dimensioni i Disegni del quasi, ispirati al mondo naturale, alla natura delle cose. Si prosegue poi al piano inferiore, che raccoglie ancora delle immagini diramanti: un grande acrilico dai colori verdi e celesti, realizzato su carta, che allude ai vortici e alle spirali e altri dipinti e immagini. È difficile descrivere a parole quanto è demandato agli occhi e alla visione, l’immagine è sempre lontana e molto più profonda delle parole con cui tentiamo di afferrarla e controllarla».

Mirror è concepito come a un’illusione, un lavoro che non cerca una conclusione definitiva e assertiva ma solo uno stato di attraversamento, dove l’osservatore, in posizioni diverse, vede differenti varianti della stessa immagine e, dove anche l’autore, perde la possibilità di controllare totalmente l’opera. Qual è il senso di queste sue opere e qual è stato il suo percorso di ricerca?
«Mirror è un miraggio, un’illusione, appunto. Potrei aggiungere che forse è una fragile magia e, come ogni magia, si fonda su un meccanismo di seduzione, un tentativo di attrarre a sé lo spettatore. Ogni Mirror nasce sempre per generare un rapporto esclusivo con il suo osservatore che, di volta in volta, a seconda della propria posizione, ottiene un piccolo ma significativo punto di vista, il tassello di un percorso che resta però per definizione incompleto. Nessuno sta fermo di fronte a un Mirror e trovo interessante che nessuno possa dire quale sia il punto di visione più corretto, neppure io. Di conseguenza il nostro occhio insegue sempre l’immagine nel tentativo di ricondurla a una stabilizzazione, però senza mai riuscirvi. L’immagine è soprattutto analogia, è sempre mossa da un flusso di collegamenti, a volte semplici e diretti, altre volte sprofondati nell’archetipico e nell’incoerente».

Nella sua produzione, il disegno ha quasi un ruolo di strumento rivelatore, lontano da una razionalità progettuale. Come definirebbe questo momento nel suo percorso creativo?
«Mi sono spesso dichiarato disegnatore, un disegnatore che non ha bisogno di nessuna mano e di nessuna tecnica ma solo della propria attitudine allo sguardo. Dico spesso che del disegno mi interessa molto il tema dell’Inizio: l’inizio di un disegno, il suo apparire ai miei occhi, soprattutto la sua immagine come rivelazione. Più in generale un artista dovrebbe parlare dell’anima e all’anima e, per prima cosa, stimolare una forma di dialogo con la propria anima e con le proprie immagini. Tali immagini propongono alla nostra coscienza aree sconosciute che non giungono dalla nostra razionalità, o dalla nostra capacità di progettare, ma da altri giacimenti del sapere, altrettanto importanti, che hanno però bisogno della nostra più viva e autentica attenzione per essere colti proficuamente. Sono dichiarazioni rischiose le mie, soprattutto dichiarazioni che hanno bisogno di condivisione, hanno bisogno di essere accettate da uno sguardo accogliente».

L’opera può quindi essere vista come il frutto di una lettura altra di un mondo altrimenti banalmente relegato all’apparenza ripetitiva del conosciuto e precostituito? 
«Karl Jaspers ha detto che non abitiamo le cose ma la nostra visione delle cose. Ovviamente l’arte non fa eccezione anzi è sempre stata abitata da visioni. Bisognerebbe a questo punto chiedersi se noi possiamo permetterci una relazione così radicale con le cose e con il mondo, possiamo cioè permetterci ancora un atteggiamento artistico che descriva il mondo in cui viviamo? Io credo che la letteralizzazione delle cose e il mito della comunicazione uccidano la realtà, attraverso una continua sostituzione del senso, forse in questo senso lei dice banalmente».

Come possono i visitatori interagire con queste opere ?
«Io credo che nel mio lavoro il pubblico sia un assoluto protagonista. Come dicevo prima, già a partire dai miei Mirrors, dove l’opera prende forma differente a seconda dei movimenti, l’osservatore compie. Io stesso quando ho completato un Mirror devo compiere una serie di movimenti per generare delle variazioni dell’immagine che osservo. Non esiste quindi una conclusione o un punto fisso migliore di un altro, vale tanto per me quanto per gli altri».

Come vede le nuove tendenze dell’arte contemporanea? Non teme che la velocità e l’estrema semplificazione della comunicazione interpersonale stia spingendo tutto, compresa l’arte, verso un appiattimento espressivo che rifugge ogni complessità di pensiero?
«Penso che solo qualche anno fa fosse impossibile solo cogliere il tema dell’appiattimento espressivo nelle arti visive! Dell’arte disprezzo il nichilismo fine a se stesso, l’egotismo ignorante e presupponente di molte persone che spesso siamo costretti a incrociare nel nostro lavoro. Mi sono invece sempre disinteressato alle tendenze, proprio perché questa idea della catalogazione e del traguardo è lontana da un concetto d’arte inteso come esperienza e crescita individuale, le due cose hanno finalità diverse. Per contro, le cose belle e interessanti sono tantissime, bisogna educarsi a sentire in maniera autonoma, perlomeno tentare una strada personale. Mi rendo conto che forse l’ingenuo sono io, ma comunque al dispregio va sempre preferito il candore. Non a caso Candide di Voltaire è uno dei miei personaggi preferiti».

Fino al 30 maggio, Maurizio Donzelli, Eduardo Secci contemporary, Firenze; info: www.eduardosecci.com