Parla Antonella Montinaro

Abbiamo intervistato Antonella Montinaro, curatrice della mostra Japan Now, che abitualmente si occupa della curatela per Gacma arte contemporanea che nasce e opera nel sud della Spagna, precisamente nella solare Malaga. Dopo essere stata esposta in Spagna, la mostra arriva in Italia nel 2013, precisamente a Martano in provincia di Lecce ed è attualmente visitabile presso il Castello visconteo di Pavia fino al 12 Aprile.

Japan now espone opere di uno degli artisti giapponesi maggiormente conosciuti nel mondo: Takashi Murakami. Chi sono gli altri artisti e che rapporto c’è fra il caposcuola e i più giovani?

«Il Giappone vive da diversi anni una grave crisi economica: sebbene agli occhi del mondo appaia come un paese altamente tecnologico e di grande potere economico, la disoccupazione e la precarietà sul lavoro sono diventati qualcosa di comune nella loro vita quotidiana oltre che nelle loro creazioni artistiche. Ognuno degli artisti presenti nella mostra ha sviluppato una propria personale poetica e dietro tutto ciò è possibile riconoscere non solo il desiderio di portare una ventata di novità nel panorama artistico giapponese, ma anche soprattutto la volontà di dare una forma concreta alle ansie, ai turbamenti e alle contraddizioni di una generazione: una polemica estetica, sociale ed esistenziale che è palese in tutti gli artisti selezionati. Yoshitomo Nara è un vero artista di culto nel mondo pop giapponese, il suo lavoro merita aggettivi qualificativi contraddittori come bizzarro, pop, perverso o naïf; il mondo immaginato da Chiho Aoshima è un universo onirico e sorprendente nei suoi disegni dai colori acidi generati al computer, dove i personaggi sono in bilico tra la magia di un mondo fantastico e la violenza della realtà e lo stile sviluppato da Chinatsu Ban è molto singolare e legato al mondo dell’infanzia, nei suoi disegni dai colori pastello galleggiano elefanti colorati senza bocca, con grandi occhi, corpi rotondi, piccole proboscidi, per citarne solo alcuni. Nel 1995 Murakami ha partecipato alla Biennale di Venezia e l’anno successivo fonda a New York la Hiropon Factory. Da allora incomincia a promuovere sistematicamente il valore di un’arte giapponese autonoma dalle influenze occidentali, capace di esprimere la realtà culturale del nuovo Giappone. Durante il 2001 la Hiropon Factory diventa Kaikai Kiki, collettivo di artisti e azienda, i cui obiettivi sono la produzione, la promozione e il sostegno degli artisti giapponesi emergenti. Questa assomiglia molto di più a una fabbrica di quanto le somigliasse lo straordinario studio di Warhol, visto che impiega nelle sue tre sedi (due nelle vicinanze di Tokyo e una a New York) più di cento persone, ognuna con responsabilità indipendenti rispetto alla creazione delle opere d’arte e più specificatamente del marketing, come possono essere animazione e commercializzazione, poi distribuzione, esposizione e promozione, oltre alla scoperta e promozione di nuovi talenti artistici. Murakami fa riferimento alla perdita del senso dei confini tra l’originale e la copia o all’identificazione tra l’autore e i consumatori, caratteristiche postmoderne tipiche della subcultura otaku. È riuscito inoltre a rendere labile il confine tra la cosiddetta high art, l’arte alta, destinata ai musei e ai ricchi collezionisti, e la low art, ovvero gli oggetti prodotti in serie e destinati al consumo di massa. La sua filosofia commerciale è dunque il frutto del modo di pensare giapponese, unito alla lezione della Pop art. Questo approccio, estetico e imprenditoriale, gli ha permesso di riuscire a penetrare il mercato dell’arte elitaria internazionale e contemporaneamente di vendere oggetti destinati al mercato di massa, inventando e promuovendo i brand Kaikai Kiki o la fiera Gesai, per promuovere i giovani talenti giapponesi nel mondo».

Come è articolata la mostra?

«Presentiamo in questa mostra opere di Murakami, Nara, Aoshima, Takano, Ban, Kunikata, Mr. e Koide. Questi artisti appartengono a una generazione marcata dal consumismo e dalla crescente influenza dei mezzi di comunicazione; la loro infanzia e gioventù sono state influenzate dall’immaginario fantastico di manga e anime, di cui questi giovani creatori si riconoscono fanatici appassionati. È importante sottolineare l’influenza di questa controcultura nell’arte giapponese contemporanea che invece di mostrarsi come una denuncia o una risposta allo stato del mondo attuale, si manifesta come una liberazione o una scappatoia dalle pressioni della società e si converte nell’opportunità per aprire le porte dell’immaginazione».

Japan now mette in scena l’evoluzione della cultura giapponese: dalle famose immagini fluttuanti e incentrate sull’uso del disegno bidimensionale, pensiamo per esempio ad Hokusai al superflat. Cosa cambia e cosa resta della visone orientale della vita e dell’arte?

«Senza rinnegare l’interesse per l’attività di Warhol e di Jeff Koons, l’artista ha rivendicato la propria autonomia culturale e dichiarato che i suoi riferimenti estetici sono essenzialmente legati alla cultura pop giapponese e al fenomeno Otaku. Attingendo sia dai canoni estetici di bidimensionalità dall’arte del Giappone tradizionale, che dall’immaginario feticista e consumistico degli otaku, Murakami ha definito lo stile Superflat (super piatto), che si caratterizza per l’integrazione di una grande varietà di elementi della subcultura e della cultura giapponese, come quelli riferibili agli anime degli anni Settanta o quelli provenienti dai dipinti del XVII secolo giapponese, dal Kabuki e dallo joruri di epoca Edo, fusi e appiattiti in immagini dalle superfici levigate e dai colori brillanti. I temi estetici da cui attinge Murakami sono amplificati ed esaltati a tal punto da far emergere, nella sua poetica, questioni apparentemente assenti nelle tematiche kawaii dell’immaginario otaku. Nel 2000 l’artista aveva dichiarato di riconoscere nell’estetica otaku un’espressione culturale, sottovalutata e ingiustamente disprezzata, che rispecchiava il nuovo Giappone. Inoltre, la corrente artistica internazionale postmoderna NeoPop sviluppatasi a partire dagli anni novanta del XX secolo si è frantumata in sottocorrenti con diversi rimandi culturali: dal graffitismo urbano al mondo dell’underground, dall’uso di materiali diversi come plastiche, resine ecc., al mondo dei fumetti giapponesi, dall’arte urbana al disegno grafico, fino a mescolarsi con riferimenti alti, letterari o concettuali».

Quanto ha a che fare con il postmoderno questo movimento artistico?

«Il NeoPop è considerata come la corrente artistica internazionale postmoderna sviluppatasi a partire dagli anni ’90 del XX secolo. Se nella Pop Art il riferimento era soprattutto al mondo dei consumi e dei mass-media, con il NeoPop si manifestano i segni della globalizzazione e della miscela di culture diverse. Si tratta di un arte Pop del terzo millennio che non si accontenta di far sfoggio merceologico ma si compiace di un forte coinvolgimento tecnologico. Il fenomeno del Neopop giapponese conduce chiaramente a una riflessione sugli effetti del consumismo e della globalizzazione, oramai parte integrante della vita quotidiana: da una parte l’attenzione e la ricerca spasmodica dell’oggetto di massa e dall’altra la pretesa di riscattarlo dal suo destino di merce, di renderlo più attraente, personalizzato e meno seriale».

La vostra organizzazione prevede anche iniziative parallele, quali i momenti più significativi di questa edizione? Cosa c’è ancora in programma?

«Japan now! vuole essere molto più di uno sguardo sull’arte contemporanea nipponica. Si tratta di un mese dedicato al Giappone, alla sua cultura e alle tradizioni, grazie a un programma collaterale di conferenze, proiezioni cinematografiche, spettacoli teatrali, workshop, seminari e laboratori per bambini dedicati alla scoperta del paese del Sol Levante. Di particolare rilievo la collaborazione con l’Università di Pavia. Tutte le attività possono essere consultate sulla pagina web della mostra».

È la seconda volta che presentate in Italia la mostra dopo l’esperienza nella provincia di Lecce, ci sono differenze tra i pubblici?

«Non so se si tratta della stagione dell’anno, ma sicuramente il pubblico pavese è molto più partecipativo. Sicuramente ciò è dovuto al fatto di aver stretto alleanza strategiche con tutte le istituzioni culturali della città, in primo luogo l’Università di Pavia, ma anche con tutte le realtà comunali oltre ad aver svolto un grande lavoro di marketing territoriale e 2.0».

Fino al 12 aprile, Castello visconteo, piazza Castello, Pavia; info: www.mostrajapannow.com

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