La Biennale che sarà

Oramai siamo al conto alla rovescia, mancano poco meno di due mesi all’inaugurazione della 56a esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, infatti aprirà il 9 maggio con un mese di anticipo rispetto alle ultime edizioni e proseguirà fino al 22 novembre. A cura di Okwui Enwezor, quest’anno le candeline sono 120 e ancora una volta tutto parte dai giardini, lo storico spazio in cui si organizzò la prima manifestazione nel 1895. Un lungo percorso culturale che ha accompagnato l’Italia e il mondo verso una evoluzione dell’arte sempre legata alle sue basilari origini. Inizialmente i padiglioni nazionali ancora non esistevano, l’unica struttura espositiva permanente era l’edifico centrale, con le sue colonne neoclassiche e la statua della vittoria alta che regnava sul frontone. Dodici anni dopo arrivano i primi padiglioni nazionali a partire dal quello belga nel 1907 seguito da molti altri. Oggi l’intera Serenissima è coinvolta in quello che rimane il più importante evento del mondo dell’arte contemporanea. Oltre 11 mila mq tra l’Arsenale e i Giardini, una mostra globale con 136 artisti dei quali 89 presenti per la prima volta, provenienti da 53 paesi che porteranno alle luce opere conosciute e non. E se pensiamo a tutte le location sparse per Venezia i numeri diventano impressionanti, un centinaio le nazioni presenti, cinque a partire da questa edizione: Grenada, Mauritius, Mongolia, Mozambico e Seychelles.

Altre che tornano dopo un lungo periodo di assenza come l’Ecuador che mancava dal 1966, le Filippine dal 1964 e il Guatemala dal 1954. Anche il teatro La Fenice dedica un progetto speciale: la Norma di Vincenzo Bellini. Il nuovo allestimento è affidato per regia, scene, e costumi all’artista afro-americana Kara Walker, suggerita dal curatore. Protagonisti in primis i progetti didattici, attività di laboratorio, percorsi educativi, atelier creativi che negli ultimi due anni, con le grandi mostre sia di architetture che d’arte della passata edizione hanno coinvolto quasi 88mila persone. ‏«Al posto di un unico tema onnicomprensivo che racchiuda e incapsuli diverse forme e pratiche in un campo visivo unificato – sottolinea Enwezor – All the world’s futures è permeato da uno strato di filtri sovrapposti. Questi filtri sono una costellazione di parametri che circoscrivono le molteplici idee che verranno trattate per immaginare e realizzare una diversità di pratiche. Questa edizione utilizzerà come filtro la traiettoria storica che la Biennale stessa ha percorso durante i suoi anni di vita, un filtro attraverso il quale riflettere sull’attuale “stato delle cose” e “sull’apparenza delle cose”. La domanda principale posta dall’esposizione – continua il curatore – è la seguente: in che modo artisti, filosofi, scrittori, compositori, coreografi, cantanti e musicisti, attraverso immagini, oggetti, parole, movimenti, azioni, testi e suoni, possono raccogliere dei pubblici nell’atto di ascoltare, reagire, farsi coinvolgere e parlare, allo scopo di dare un senso agli sconvolgimenti di quest’epoca? Quali materiali simbolici o estetici, quali atti politici o sociali verranno prodotti in questo spazio dialettico di riferimenti per dare forma a un’esposizione che rifiuta di essere confinata nei limiti dei convenzionali modelli espositivi? Con questa prospettiva, All the world’s futures, attraverso le sue costellazioni di filtri scaverà a fondo nello “stato delle cose” e metterà in discussione “l’apparenza delle cose” passando da un’enunciazione gutturale della voce alle manifestazioni visive e fisiche, tra opere d’arte e pubblico».

‏Filtri che incanala in Vitalità, dove nella ricerca di un linguaggio e di un metodo è stato deciso che la natura dell’esposizione sarà quella di un evento fondamentalmente visivo, corporeo, uditivo e narrativo. In Giardino del disordine che collocato nei Giardini e nel padiglione centrale nonché nelle Corderie, nel Giardino delle Vergini dell’Arsenale e in altri spazi selezionati in città, utilizza la realtà storica dei Giardini della Biennale come una metafora attraverso la quale esplorare il mondo attuale, ovvero quella struttura di disordine che caratterizza la geopolitica, l’ambiente e l’economia a livello globale. Infine Capitale, per investigare nella preoccupazione diffusa che è al centro della nostra epoca e modernità, il capitale appunto. Sia nella sua finzione sia nella sua realtà. Ben 44 eventi collaterali, organizzati da privati, fondazioni, associazioni e dagli artisti stessi, un fiume senza sosta di appuntamenti dedicati a interpretare il presente anticipando il domani. Come quello proposto da uno degli sponsor ufficiali, Swatch. Partendo dal tema Swatch faces, il marchio presenterà l’arte come motore di cambiamento nel lavoro degli artisti in residenza allo Swatch art peace hotel. In poco più che tre anni ha ospitato oltre 140 artisti nel suo storico palazzo sul Bund di Shanghai, dedicando tre piani a laboratori, spazi espositivi e alloggi. I 18 artisti che risiedono a lavorano attualmente fanno da ponte tra la metropoli cinese e il capoluogo veneto, con opere esposte su un Art wall installato nel padiglione Swatch, oltre ad organizzare una serie di manifestazioni artistiche e mostre personali in Tesa 100, all’Arsenale. La ricerca di trovare soluzioni ad una situazione spesso insostenibile in cui vive il mondo oggi, sembra essere al centro di ogni movimento culturale, una irrequietezza che viviamo noi stessi in prima persona, spesso incapaci di controllarla. L’arte corre in aiuto di chiunque senta la necessita di trovare risposte alla solite domande che ci affliggono. ‏

«Oggi – afferma Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia – il mondo ci appare attraversato da gravi fratture e lacerazioni, da forti asimmetrie e da incertezze sulle prospettive. Nonostante i colossali progressi nelle conoscenze e nelle tecnologie viviamo una sorta di age of anxiety. E la Biennale torna a osservare il rapporto tra l’arte e lo sviluppo della realtà umana, sociale, politica, nell’incalzare delle forze e dei fenomeni esterni. Si vuol quindi indagare in che modo le tensioni del mondo esterno sollecitano le sensibilità, le energie vitali ed espressive degli artisti, i loro desideri, i loro moti dell’animo (il loro inner song). La Biennale ha chiamato Enwezor anche per la sua particolare sensibilità a questi aspetti. Curiger, Gioni e Enwezor, quasi una trilogia: tre capitoli di una ricerca della Biennale di Venezia sui riferimenti utili per formulare giudizi estetici sull’arte contemporanea, questione critica dopo la fine delle avanguardie e dell’arte non arte». ‏

Dal 9 maggio al 22 novembre; Venezia, varie sedi; info: ‏www.labiennale.org