Joseph Beuys, Bradley Manning, Edward Snowden, Anna Stepanovna Politkovskaja, Papa Giovanni Paolo II, Noam Chomsky e Dario Fusaro sono i Gullivers che Aleksander Velišček con la curatela di Aurora Fonda, presenta a Venezia: sette ritratti di personaggi noti, filosofi, intellettuali e politici, della storia contemporanea che, in un groviglio di elementi organici, strutture metalliche, oggetti impastati nel colore, appaiono rinchiusi dentro alle cornici che li contengono. ”Queste rappresentazioni sono il frutto di una ricerca biografica su ogni personaggio – spiega Sandro Pignotti nel testo critico a disposizione in mostra e aggiunge – lo spettatore non percepisce l’opera come un ritratto convenzionale, né l’aura che circonda la fama di questi personaggi”. Essi sono accomunati da un profondo impegno politico, sociale, intellettuale, la cui dedizione ha inevitabilmente condizionato l’esistenza. Nella pittura emerge il peso della responsabilità, della malattia, del fallimento, attraverso modalità che rievocano l’espressionismo e al contempo conferiscono ai ritratti forte verità.
Interessante la natura polisemica del titolo. Gulliver nella lingua Nadsat, significa testa ed è una parola pronunciata nel romanzo, poi tradotto in film, A Clockwork Orange di Anthony Burgess. L’autore ha ideato questo artlang unendo parole di lingua inglese a parole e sonorità di matrice russa, creando così un gergo giovanile in cui sono riunite le due potenze politiche ed economiche della guerra fredda. Inoltre, proprio come nel celebre romanzo di Swift, I viaggi di Gulliver, anche i personaggi ritratti appaiono intrappolati, non dalle corde sottili dei lillipuziani, ma nella materia stessa che li costituisce; d’altro canto anche in questo romanzo si affronta una pesante critica alla società contemporanea, mettendo in evidenza i difetti e i paradossi del sistema socio-politico del tempo. Particolare anche la scelta di proporre, al piano superiore, una stanza interamente tappezzata di immagini dei personaggi ritratti, delle suggestioni, delle citazioni letterarie e iconografiche a cui la mostra fa riferimento. Le immagini, in bianco e nero e di scarsa qualità, danno immediatamente la percezione della vasta produzione di stimoli visivi a cui siamo quotidianamente sottoposti, nonché la sovraesposizione mediatica che sopporta chi ricopre ruoli di rilievo. I lavori presentati alla AplusA sono coerenti con i temi già trattati dall’artista, dove la messa di in scena di immaginari, situazioni, episodi volti a raccontare la parte più oscura, e forse proprio quella più debole, dell’essere umano, sono espressi nella personale veneziana in modo più composto e meno violento.
Nato a Šempeter pri Gorici, Aleksander Velišček, ha vissuto le fasi di trasformazione del proprio paese natale, l’allora Jugoslavia. Attualmente lavora tra Venezia e Gorizia. Tra le principali mostra a cui ha partecipato: (2014) Shit and Die, a cura di Maurizio Cattelan, Myriam Ben Salah e Marta Papini, a Torino; Se il dubbio nello spazio è dello spazio, a cura di Nemanja Cvijanović e Maria Adele Del Vecchio, Macro, Roma; (2012) Lunar Park, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia.
Fino al 26 aprile; galleria AplusA, San Marco 3073, Venezia; Info: www.aplusa.it