«Dopo tutto quello che ho passato, cosa vuoi che possa farmi un uomo con i guantoni?». Parole di Hertzko Haft, ebreo polacco sopravvissuto ai lager nazisti grazie alla boxe, la cui storia oggi viene raccontata nella biografia a fumetti in bianco e nero Il pugile (Bao publishing, 280 pagine, 17 euro). Realizzato dall’illustratore e fumettista tedesco Reinhard Kleist, il volume trae linfa dal libro del figlio di Haft, Alan Scott, dal titolo Harry Haft: Auschwitz survivor, challenger of Rocky Marciano. Sopravvissuto ai lager soltanto perché protetto da un ufficiale che lo mise a combattere contro altri internati per divertire i gerarchi nazisti («ti sei irrobustito, piccolo ebreo. Farò di te un’attrazione»), Hertzko Haft riuscì poi a fuggire fortunosamente alla fine della guerra finendo a rincorrere il sogno americano.
L’uomo infatti emigrò negli Stati Uniti nella speranza di ritrovarvi la fidanzata e di costruirsi una vita e proprio qui iniziò la sua (difficile) carriera di pugile professionista che lo avrebbe portato ad incontrare sul ring Rocky Marciano. «Avevo 14 anni quando nell’ottobre del 1939 i tedeschi invasero Belchatow. La Polonia fu divisa allora in una zona occupata e nel cosiddetto governatorato generale. Il confine passava vicinissimo a noi. I cittadini di origine tedesca diedero il benvenuto agli invasori. Noi li guardavamo terrorizzati marciare per le strade. La vita nella nostra cittadina cambiò di colpo. Soprattutto per noi ebrei». Già da queste battute si evince il tenore della graphic novel, attraverso la quale l’autore presenta sì una storia dura ma ricca di umanità. Dalla povertà nel paese di origine («Avevo cinque anni quando mi fu dato il primo incarico. Dovevo portare a macellare le oche al mercato») al ghetto al campo di concentramento di Auschwitz – «a noi ebrei era proibito tutto. In qualsiasi momento potevamo essere chiamati al lavoro coatto. Non ci era permesso viaggiare e c’era il coprifuoco. Alla fine i tedeschi ci ammassarono tutti in un ghetto» – Kleist, classe 1970, struttura il racconto dell’esistenza di Haft che, occorre ricordarlo, accetta ardue scelte morali in nome della sopravvivenza, come una serie di incontri di pugilato. Incontri, quelli avvenuti realmente, che emergono dalle tavole disegnate in tutta la loro lucida follia: «Ogni domenica dovevo combattere contro sei avversari più morti che vivi. Ben presto capii come divertire il pubblico facendo con il mio avversario il gioco del gatto con il topo. Non pensavo al fatto che gli uomini venissero uccisi, ma unicamente a sopravvivere».
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