Dal 13 novembre al 19 dicembre l’Accademia di belle Arti di Bologna ha ospitato la terza edizione della Biennale dei giovani artisti italiani, curata dai critici Renato Barilli, Guido Bartorelli e Guido Molinari. La mostra, nata nel 2006, ha esposto, grazie al contributo dell’Assessorato alla cultura della Regione Emilia Romagna, le opere di ventinove artisti, l’età media dei quali si aggira intorno ai trent’anni. La selezione è stata condotta tenendo conto dell’eclettismo e dell’ibridazione che caratterizza questo periodo artistico, ricorrendo alla nozione di plateau introdotta da Deleuze e Guattari, ovvero un altopiano in cui le diverse tendenze si intrecciano. La proposta artistica è variegata: si passa dalla pittura alla fotografia, senza mettere da parte installazioni e arte concettuale. Una mostra che ha diviso radicalmente le opinioni del pubblico e ha fatto aggrottare non poche fronti. Barilli, si sa, è uno dei grandi nomi della critica d’arte italiana di oggi, organizzatore di mostre, autore di numerosi testi e professore emerito presso l’Università di Bologna, dove ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso Dams. Ma Barilli non è solo questo, è anche colui che un anno fa consegnò il premio Daolio a Maurizio Cattelan senza gradire, nonostante gli elogi all’artista, la gag organizzata con la partecipazione de I Soliti Idioti durante la cerimonia di premiazione. Cos’altro? Barilli è colui che legge e apprezza Isabella Santacroce e che organizza una Biennale Giovani all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Bologna scegliendo ventinove artisti esterni ad essa e facendo diffondere del forte malcontento tra gli studenti, costretti a veder diminuire i loro spazi, le loro possibilità lavorative, la stima nei confronti del loro ateneo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso riguarda poi la presentazione delle opere: alcuni degli artisti, inesperti nell’arte dell’allestimento, sono stati esonerati da tale lavoro, e al loro posto i ragazzi dell’Accademia si sono tirati su le maniche per aiutarli. Conseguenza: alcuni lavori sono stati esposti con i giusti accorgimenti, altri molto meno, lasciando quadri poggiati per terra, installazioni sonore con stereo non funzionanti, collage su carta appesi al muro con delle puntine. Questo basterebbe per domandarsi se effettivamente Barilli e il suo team della Biennale fossero le persone giuste per organizzare una mostra dal titolo così altisonante. Alla visita della mostra veniva naturale chiedersi cosa ci facessero tutti quei lavori, che in Accademia sarebbero stati valutati al massimo come degli esercizi, all’interno di una rassegna curata da uno dei nomi più famosi della critica d’arte italiana. I continui rimandi agli stili e alle correnti dell’arte del XX secolo erano eccessivi. A chiarire la situazione non era sufficiente che Barilli citasse Deleuze, era diventato necessario porgere delle domande al diretto interessato, anche se solo tramite mail.
Molti hanno notato nei lavori di alcuni degli artisti della Biennale Giovani una forte tendenza al ritorno di vari stili del XX secolo. Non le sembra che siano degli stili già abbastanza sviscerati e si tratti più un ritorno al passato che un movimento di sviluppo verso il futuro?
«L’assunto principale sostenuto da noi tre curatori, come già in precedenza per mostre analoghe, è che stiamo vivendo un momento di fertile eclettismo, in cui si affiancano varie tendenze in una utile ibridazione; tutto ritorna e non in modo pedissequo ma innovativo. Per esempio, è indubbio che ci sia un certo ritorno alla pittura, come dimostrano tante manifestazioni in atto, però non si ritorna al vecchio quadro da cavalletto, ma a modalità più aperte e dinamiche».
La Biennale Giovani, arrivata alla sua terza edizione, coinvolge importanti personaggi e istituzioni, eppure non esiste un sito web e ciò complica, in un’era oramai largamente digitalizzata, la diffusione di informazioni. Come spiegherebbe questa mancanza?
«Le nostre mostre sono condotte da un trio di critici militanti non integrati in una specifica istituzione, ogni volta andiamo in giro col piattino chiedendo sovvenzioni agli enti pubblici e appoggio a qualche struttura ufficiale. Non c’è quindi una precisa garanzia di continuità, per questo non abbiamo ritenuto di creare un sito, però a quanto pare, se si va in internet e si digita il BG3, pare che compaia una messe di informazioni e commenti».
Non essendoci un sito, non si riesce a risalire a nessun concorso per l’ammissione; si deduce quindi che la selezione dei partecipanti avvenga direttamente da parte dei curatori e organizzatori della mostra. Con quali criteri scegliete dunque i giovani artisti? È possibile per un artista emergente, che magari non ha ancora una galleria alle spalle, provare a partecipare alla biennale?
«Non c’è nessun bando, non si tratta di un premio, si partecipa solo per libera scelta di noi tre curatori che si guardano attorno cercando di selezionare il meglio fornito dal vivaio dell’arte in Italia, senza pretese di completezza, può darsi che presenze di buon valore ci sfuggano. Di sicuro non ci affidiamo al filtro delle gallerie, ben pochi dei 29 presentati in questa Biennale hanno già alle spalle delle gallerie, però quasi tutti hanno dei siti personali che permettono di stabilire un primo contatto con le loro opere, salvo poi andare a contattarli di persona, come abbiamo fatto, per concordare le modalità di partecipazione a questa mostra. Naturalmente, siamo disponibili a ricevere materiale da ogni artista, è normale che chi si affaccia con intenzioni serie al mondo dell’arte ci faccia giungere segnalazioni sul proprio lavoro. Siamo insomma aperti alla selezione più ampia possibile«.
Nonostante le risposte di Barilli, molte domande restano ancora aperte. In cosa si manifestano queste “modalità più aperte e dinamiche” del ritorno alla pittura? A chi dovremmo mandare la nostra candidatura per la prossima Biennale, vista l’inesistenza di un sito dedicato? Nonostante la mostra a gennaio sia migrata dall’Accademia di Bologna al Museo della città di Rimini (visitabile fino all’8 marzo), a Bologna se ne parla ancora, e si cerca di rispondere a queste domande, sperando di fare un po’ di chiarezza su una mostra che ha lasciato non poche ombre.
Biennale Giovani 3, Museo della Città di Rimini, fino all’8 marzo.