Ricordando Burri

Alberto Burri, indiscusso genio innovatore. Come celebrarne la figura evitando l’adulazione acritica? Una delle possibilità è quella di osservarne l’opera in tutta la sua complessa totalità, da diverse prospettive temporali e in connessione con atri artisti. Questa è infatti la strada che Arturo Carlo Quintavalle, curatore della mostra Fuoco nero: materia e struttura attorno e dopo Burri, ha scelto di percorrere. Visitabile da sabato 20 dicembre a Parma, nelle scuderie del palazzo della Pilotta, è stata inaugurata dal Csac, Centro studi archivio comunicazione dell’università di Parma. L’artista, nato a Città di Castello nel 1915, dopo una laurea in medicina, partì come ufficiale medico durante la seconda guerra mondiale e, prigioniero, fu inviato nel campo di Hereford, in Texas, dove iniziò a dipingere. Catrami, muffe, sacchi di juta, plastiche e la rivoluzione dell’informale materico, come lui stesso lo definisce in un’intervista, grazie al quale «la realtà non si fa pittura bensì la pittura si fa concretamente realtà; il gesto pittorico affonda nelle radici del mondo come cosa; la pittura stessa si fa cosa e la nostra percezione si scontra con la materia delle cose». Punto di partenza, dunque, la materia creata, deformata, manipolata per mostrarne l’energia pulsante come avviene nel grande Cellotex del 1975 ricevuto in dono dal Csac circa 40 anni fa. Burri definisce cellotex le opere che costituiscono uno dei cicli più interessanti della sua produzione, a partire dagli anni ’70 fino alle ultime fasi della sua attività. Si tratta di pannelli forgiati su una base di materiali industriali, ottenuti da un impasto ligneo compresso, dipinti creando ampie campiture di colore.

L’eredità dell’artista e le idee che la sua ricerca può attivare ancora oggi sono i cardini della riflessione del curatore che nel corso degli ultimi due anni ha chiesto a pittori, scultori, fotografi, giovani e meno giovani, come Bruno Ceccobelli, Mimmo Paladino, Luca Pignatelli, Marcello Jori, Alberto Ghinzani, Pino Pinelli, Giuseppe Maraniello, Giuseppe Spagnulo, Emilio Isgrò, Attilio Forgioli, Mario Raciti, Medhat Shafik, Franco Guerzoni, Renato Boero, Gianluigi Colin e William Xerra di produrre un’opera che fosse in qualche modo connessa alla ricerca di Burri. Il primo livello temporale della mostra è dunque il presente che permette di constatare cosa l’artista ha consegnato ai suoi successori. Il secondo livello riguarda, invece, il passato. Il curatore, infatti, ha voluto focalizzare l’attenzione anche sul rapporto tra Burri e i suoi contemporanei italiani che hanno intessuto con lui un dialogo incentrato da un lato sulla ricerca sulla materia e dall’altro sull’articolazione delle strutture. Roma con Gastone Novelli e Toti Scialoja, Milano con Lucio Fontana e poi Tavernari, Spinosa, Mandelli, Bendini, Pomodoro, solo per citarne alcuni. Infine, la fotografia, coinvolta insieme a pittura e scultura nel processo di scoperta e trasformazione della materia avviato da Burri: le immagini di Aurelio Amendola che lo ritrae mentre crea col fuoco una plastica, Nino Migliori con i pirogrammi degli anni ‘50 di recente ristampati; Mimmo Jodice, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci. Un’esposizione di 175 opere che non solo invita a ripercorrere la carriera dell’artista ma vuole anche riflettere sui modi in cui la sua grande rivoluzione è stata accolta e reinterpretata, offrendo agli spettatori un’occasione unica di incontro con uno dei maggiori protagonisti del panorama artistico del secondo Novecento.
Dal 20 dicembre al 29 marzo 2015, salone delle Scuderie, palazzo della Pilotta, piazzale Bodoni 1, Parma; Info: www.parmabeniartistici.beniculturali.it

 

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