Parla Daido Moriyama

Foligno (Pg)

Un destino scritto nel nome quello di Daido Moriyama, all’anagrafe Hiromichi che vuol dire ”strada ampia”. Sono infatti la strada e il viaggio i temi centrali della sua ricerca iniziata negli anni Sessanta, quando è poco più che ventenne. In questo periodo, pur non respirando da vicino il clima della beat generation statunitense, legge Kerouac e resta affascinato dal suo anticonformismo e dalla sua sete di esperienze. Come lui sperimenta il piacere del viaggio. Attraversa da solo e senza meta tutto il Giappone, macinando chilometri e rullini per fotografare tutto ciò che incontra: città, strade, persone, animali. Ancora oggi continua a esplorare gli angoli più nascosti del mondo per grattarne la superficie e scoprire la realtà nascosta sotto l’apparente familiarità dei luoghi. Moriyama non è un reporter. Le sue immagini sfocate, sporche e sgranate, non descrivono né spiegano. Sono per lui un mezzo per entrare in relazione con il mondo, con la vita. E la città, la strada, offrono gli stimoli più fecondi per soddisfare questo suo bisogno.

Cosa ti affascina delle città? «Il fatto di trovarci dentro tutti i segni e gli elementi dell’universo umano, del desiderio, mescolati l’uno con l’altro. E poi perché sono espressione del presente. Nei tuoi scatti spesso riesci a tirare fuori un aspetto sensuale di questi luoghi. La città è parte di un mondo reale, duro e freddo che gli uomini possono rendere sensuale ed erotico se solo lo guardassero con occhi diversi. Così facendo il mondo si riempirebbe di erotismo fino all’esasperazione».

Cos’è per te il desiderio? «È l’essenza dell’atto fotografico, la molla che mi guida nell’osservare la realtà. Cerco di trasformarmi in una specie di registratore e cogliere, in epoche e in luoghi diversi, ogni forma di desiderio».

Spesso ti avventuri in quartieri degradati, in zone malfamate. Cosa ti attrae di questi luoghi? «Il fascino di tutto ciò che è oscuro, proibito. La bellezza di un luogo da sola dice poco. E trovo meraviglioso che anche l’anima di ogni individuo abbia in sé una parte altrettanto cupa e misteriosa».

Questo spiega le atmosfere fumose e i contrasti violenti dei tuoi bianconeri? «Il monocromatismo rende l’immagine uniforme, dà spazio al simbolismo e all’astrazione e permette di individuare nella scena un mondo parallelo investito dal sogno».

Quindi anche luoghi e situazioni apparentemente familiari nascondono un aspetto ambiguo, una realtà sotterranea. Penso che nelle relazioni tra gli uomini e la realtà ci siano molti aspetti ambigui. Neppure la fotografia permette di trarre conclusioni certe ma è solo un mezzo con cui è possibile dare conto di tutto questo.

Perché hai scelto la fotografia? «Perché è l’unico strumento in grado di cogliere una frazione di tempo e perché uno strumento come la fotocamera ti fa penetrare mondi estranei, senza limiti».

Cosa farai domani? «Continuerò a fotografare in piena libertà, per il tempo che mi è concesso. Non posso fare altro che proseguire il mio cammino, stare in mezzo alla gente, sulle strade, nelle città».

Fino al 25 gennaio al Centro Italiano Arte Contemporanea
Vvia del campanile 13, Foligno (Pg).

Info: www.centroitalianoartecontemporanea.it

 

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