Quella malattia chiamata arte

L’indiscutibile centralità di Lucio Amelio all’interno del sistema dell’arte contemporanea trova spazio nelle sale del museo Madre di Napoli, attraverso l’esposizione Lucio Amelio, dalla Modern art agency alla genesi di Terrae motus (1965–1982) inaugurata il 22 novembre, che si pone come un tributo al grande gallerista napoletano scomparso vent’anni fa. La mostra è stata realizzata in collaborazione con l’archivio Amelio e altri archivi pubblici e privati, che hanno fornito testimonianze documentarie preziose, una serie di lettere, schizzi, progetti, fotografie, inviti, manifesti, libri, brochure e cataloghi che fungono da spina dorsale di un percorso espositivo potente che assume i tratti di un grande libro dell’arte contemporanea scritto da Amelio come testimonianza della sua attività di gallerista, dal 1965, anno di apertura della Modern art agency, al 1982, data di nascita della Fondazione Amelio e di inaugurazione della collezione Terrae Motus, il grande omaggio alla terra campana ferita brutalmente dal terremoto del 23 novembre del 1980.

La convinzione che Napoli fosse la capitale di un ideale stato dell’arte risuonava energicamente nelle parole del gallerista, un’idea condivisa da Joseph Beuys, protagonista di una delle più importanti mostre della Modern art agency (La rivoluzione siamo Noi, 13 novembre 1971). Le parole del direttore del Madre Andrea Viliani confermano questo orientamento: «Nel ’65 non solo apre una galleria, ma costruisce una piattaforma di pensiero sulle ragioni dell’arte. Con Amelio l’arte inizia ad abbandonare il contesto istituzionale per abbracciare la città di Napoli». Percorrere le diciannove sale del terzo piano dell’istituzione partenopea equivale a intraprendere un appassionante viaggio tra le esperienze artistiche di maggior rilievo del secondo Novecento, da Burri, Fontana e Manzoni, a Kounellis, Fabro, Calzolari, Zorio, Paladino, Ceroli, Pisani, Schifano, Longobardi e Tatafiore, passando per l’Apoteosi di Omero di Paolini, la Venere degli stracci di Pistoletto, i tre grandi statunitensi Rauschenberg, Twombly e Johns tra gli altri, e numerosi reperti filmici e fotografici, sintomatici di quella passione per l’arte che Amelio chiamava malattia, un modo di raccogliere e condividere, attraverso le sue mostre, esperienze umane vissute. Assumono una centralità eloquente nell’itinerario espositivo le opere di Warhol e Beuys, il cui incontro nell’aprile del 1980 non a caso è intuizione di Amelio, in particolare quelle appartenenti a Terrae Motus, come Terremoto in Palazzo (1981) e Fate Presto (1981).

Dal 22 novembre al 9 marzo 2015. Madre, Napoli. Info: www.madrenapoli.it

 

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