La parola greca eidos ha il significato di aspetto, forma. Il filosofo Platone la adoperava in riferimento alle idee. Ecco, allora, che si ha da un lato la forma, con il suo rimando puramente materiale, tangibile, dall’altro lato l’idea, l’astrazione, la sostanza. L’eidos è, dunque, forma e contenuto insieme: la natura esterna e al contempo interna delle cose, il loro nucleo. E l’eidos dimora, così ambivalente, nell’opera della raffinata scultrice Sara Teresano, esposta a Messina nella mostra In divenire, curata da Giampaolo Chillé. Nel suo lavoro, dialogo continuo tra contemporaneità e antichità, coesistono idea e forma come in quel termine greco adoperato ora per intendere l’una, ora per intendere l’altra. E allo stesso modo in cui, nell’artista, convivono l’analisi scientifica, in quanto biologa, e il pensiero classico.
Legato al suo percorso di formazione e in particolare alla filosofia platonica e neoplatonica, esso fa sì che il ricordo dell’antica cultura greca abiti segretamente tutta la sua produzione artistica. Una produzione in divenire. In evoluzione e trasformazione, all’interno del fluire continuo e inesorabile della vita, artistica e personale, di Sara Teresano. Quella vita che è probabile fil rouge, leitmotiv della sua produzione, eterogenea non tanto nei concetti quanto in termini estetici e visivi. L’esaltazione della vita, della sua forza, della sua «capacità di resistere». Intima e speculativa, indaga la vita in tutte le sue forme, i suoi segni, i suoi simboli, nella sua essenza, con una visione incantata, eppure, velatamente drammatica. La indaga attraverso la figura femminile, generatrice di vita.
Ora più tonde e debordanti, ora più slanciate e morbide, le famose Ciccione di Sara Teresano, «dirette discendenti delle veneri di età preistorica», e non dell’arte grassa di Botero a cui alcuni erroneamente le associano, «riflettono sul femminile come elemento di contatto tra l’umano e il divino». Rubiconde e piene, non sono però pesanti, ma leggere come Nuvolette. Appagate e piene soltanto della loro consapevolezza e del loro, seppur precario, equilibrio. Un equilibrio che fa sì che si ergano, così rotonde e materiche, su piedi minuscoli, somiglianti a piccoli gambi o corolle dai quali il femminino sboccia nel marmo. Metafora del magico sbocciare della vita.
Come le piccole veneri steatopigie, loro antenate, le donne della Teresano scandagliano il rapporto tra natura e vita, nella loro grande energia. Nella mappa di questo viaggio esplorativo si inscrivono le opere più smaccatamente dedicate all’universo naturale. In un percorso idealmente a ritroso che va dalle forme di vita naturali alla loro origine, e dunque alla loro essenza. Dai Giardini ai Fiori, dai Pollini ai Semi. Fino a giungere ai Pannelli di sale, abitati da forme arcaiche che, come ad una visione al microscopio, rievocano i microrganismi cellulari, prime forme di vita.
Questo il percorso estetico di Sara Teresano, riflesso di un divenire concettuale dalla forma all’essenza di cui le recenti opere di sale sono la perfetta sintesi. Il sale, di per sé, condensa insieme matericità ed essenza; l’eidos. Ecco perché Sara Teresano se ne interessa. Sedotta sia dalle sue straordinarie qualità fisiche e biologiche, che studia e conosce scientificamente come tutti i materiali che usa, sia dalle idee che al sale si associano. Elemento prezioso per molte civiltà, simbolo del divino, terzo principio nell’alchimia, il sale è essenza che monda e purifica. Come disse Gesù Cristo ai suoi apostoli in quella frase citata poi nel Gattopardo: «voi siete il sale della terra».
Diversamente da altri artisti che lavorano con il sale, come Motoi Yamamoto e Bettina Werner, Sara Teresano ne rispetta la natura, senza alterarlo né nella sua consistenza materica né nella sua simbologia. Infatti, contrariamente ai riti funebri a cui l’artista giapponese lo associa, «il sale è, insieme all’acqua, elemento imprescindibile per l’esistenza di qualsiasi forma di vita». Ecco allora perché è fatta di sale la statua della Quinta stagione, che affianca le quattro canoniche Primavera, Estate, Autunno e Inverno, «metafore dell’infanzia, dell’adolescenza, della maturità e della vecchiaia». Mentre, nel passaggio dall’una all’altra delle quattro stagioni si assiste al disfacimento del proprio corpo, all’avanzare impietoso del tempo, la quinta stagione è simbolo per eccellenza del fluire continuo della vita, o di una vita altra.
Fino al 19 Novembre, monte di Pietà, Messina