Francesco Clemente a Napoli

Un omaggio all’India. Con questa frase, Francesco Clemente è tornato, dopo 35 anni, nelle stesse sale dove già espose per Lucio Amelio nell’ottobre del 1979. Tredici bandiere, di cui quattro ricamate e dipinte da entrambi i lati, issate quasi a provocazione nei confronti del pubblico. Il palcoscenico è quello di Casamadre a Napoli, in piazza de’ Martiri. È un omaggio alle atmosfere, ai colori e ai profumi dell’India, ma anche alle stoffe ai suoi tratti espressivi mistici eppure sintetici. Vessilli colorati che vogliono raccontare un pensiero filosofico non troppo antico, scaturito dalla visita di Clemente a Madras, luogo in cui incontrò le divinità indù, rimanendo colpito dalle forme e dai colori dei dipinti Kalighat. Esperienza tesaurizzata, che l’ha poi visto protagonista della pubblicazione Made in India in cui sono raccolte tutte le opere ispirate alla orientale e filosofica spiritualità.

Immagini che diventano prologo dell’attuale mostra di Casamadre, in cui le citazioni artistiche su Debord e Blumenberg diventano, inconsapevolmente, valore aggiunto. «Una volta scoperta, l’India è entrata a far parte della mia vita – spiega Clemente – ho sentito da subito una grande armonia con quel modo di concepire l’esistenza. D’altra parte la pittura per me è un’attività contemplativa e in quel paese la cultura vive solo di immagini». Parole che trovano conferma nei corridoio della galleria di Casamadre, tra una parete dipinta in rosa e un’altra in rosso scarlatto, che trovano la complementarietà nella loro funzione di guida all’osservazione di entrambe le facce dei gonfaloni sospesi alle aste in canna di bambù. Nel corso della sua carriera Clemente ha studiato e analizzato temi, ossessioni e tecniche diverse, confrontandosi solo con se stesso, in un percorso del tutto individuale. Nonostante ciò le sue opere non hanno mai riposto fiducia nel gesto individuale, nella volontà singolare o nell’espansività del soggetto creatore ma si presentano come una interpretazione del linguaggio dell’arte visiva. Da una parte l’eclettismo dell’artista, dall’altra un mondo esterno, concepito come un gigantesco deposito di dati; Clemente così concepisce la separatezza dell’arte dalla vita, cioè la distanza incolmabile tra rappresentazione ed esperienza. Le numerose bandiere, dipinte da artigiani indiani, celebrano la gioiosa materia dei segni, mentre il risvolto, l’altra faccia dei vessilli, rappresenta figure meno precise e ambigue nella loro preziosità aurea.

L’arte di Clemente dunque può trovare una chiave di lettura proprio nelle sue bandiere; la sua pittura è iscrizione del mondo, un taglio veloce sulla superficie, come un’increspatura che si può toccare con mano ma che si apprezza solo da lunghe distanze. La mostra presenta anche una composizione di 12 piccoli acquerelli, Le ore estive, ispirate alle poesie che hanno per tema l’estate di Federico Garcia Lorca, i cui versi sono trascritti sulle immagini; o ancora un altro acquerello, sistemato anch’esso come gli altri nello studio in galleria del curatore Eduardo Cicelyn, ovvero «Tribal self-portrait», che riporta l’osservatore sul tema di una ricerca neoancestrale ed autobiografica.

fino al 28 settembre; galleria Casamadre, piazza Dè Martiri, Napoli; info: www.lacasamadre.it