Biennale d’architettura pt1

«La Biennale parla al mondo», ha sottolineato Paolo Baratta per la manifestazione d’architettura da poco inaugurata. L’edizione di quest’anno, schierata contro l’omologazione del villaggio globale e la dittatura del mercato, si presenta come densa espressione di pluralismo. Vede partecipare ben dieci paesi nuovi, chiamati per la prima volta a interpretare nei padiglioni nazionali Assorbire la modernità 1914-2014, ossia il tema comune assegnato dal direttore artistico Rem Koolhaas. Ciascuna nazione, secondo libera ispirazione e interpretazione, concorre a realizzare una ricerca corale sull’architettura, che non sia composta di tante voci autonome, ma strettamente connesse come la polifonia di un’unica partitura musicale. Nel Novecento l’architettura si è trovata di fronte al compito di assorbire la modernità, ma questo percorso, in cui le identità territoriali sono sbiadite per far posto a un idioma comune standardizzato, si è rivelato doloroso, pretendendo grandi cambiamenti e radicali revisioni di tradizioni e stili di vita.

Questa Biennale si lascia alle spalle una vetusta visione eurocentrica e pone grande attenzione ai paesi emergenti dal sud del mondo, come riserve di energie inedite in grado di rinnovare una disciplina in crisi. L’Indonesia, ad esempio, con la mostra Artigianato: coscienza materiale si fa portavoce di un modello di fare architettura in cui i materiali in uso, come bambù o terrecotte, sono autentica espressione del territorio e dove il lavoro dell’artigiano diventa contraltare della serialità modulare dell’Occidente industrializzato. L’Argentina, con Ideal/Real, vede la fenomenologia della modernità come frutto di una intensa dialettica tra i progetti architettonici ideali e mai realizzati e le costruzioni reali che hanno segnato l’industrializzazione del paese.

Il Marocco, alla sua prima partecipazione, decide di raccontare la possibilità di abitare il Sahara. In una Biennale, che alcuni addetti ai lavori hanno definito senza architettura, perché carente di nuovi progetti e più attenta alla ricerca filosofica intorno alla cultura architettonica, sono lodevoli gli otto plastici esposti su un pavimento totalmente ricoperto di sabbia. Sul soffitto uno schermo di 120 mq proietta l’alternarsi del giorno e della notte, creando l’emozionante suggestione di essere cittadini moderni in una terra africana ancestrale, spesso considerata solo meta di esplorazione avventurosa e temporanea. La Turchia col padiglione Places of memory è al suo esordio alla Biennale e si riconnette così alla storia millenaria di prossimità tra Venezia e Bisanzio. In questo caso il curatore sceglie di rievocare Piazza Taksim, Bab-I-Ali e Buyukdere Boulevard: tre luoghi dal forte valore simbolico, utili per esplorare la percezione degli spazi urbani da parte del cittadino.

Israele conia un neologismo per intitolare il suo padiglione, Urburb, ossia una categoria che identifica un paesaggio che è in bilico tra l’urbano e il suburbano, ma anche il corrispondente stato mentale di chi lo abita. Il XX secolo, col boom demografico, porta con sé inevitabili ibridazioni: il visitatore entrando nel padiglione israeliano ha l’impressione di trovarsi in un cantiere edile, in cui alcune macchine automatiche disegnano e subito dopo cancellano linee sulla sabbia, segnali della sfuggente labilità delle forme moderne.

La Slovenia intitola il suo padiglione al libro scritto nel 1928 dall’astronauta Herman Potocnik, Il problema della navigazione dello spazio e dà voce a un progetto di ricerca straordinario, che esplora le possibilità di un’architettura in uno spazio affascinante, ancora tutto da scoprire, come quello in assenza di forza di gravità.

La Biennale dell’architettura quest’anno dura sei mesi come quella di arte e accoglie nel suo alveo anche le produzioni della Biennale di cinema, teatro, musica e danza, come muse in costante dialogo con lo spazio e le sue ragioni. L’intento di Koolhaas, che affianca la professione di architetto a quella di scrittore e sceneggiatore, è “creare una narrativa uniforme su un argomento specifico” per dimostrare che le identità nazionali saranno sempre importanti per garantire un futuro alla disciplina. Come ogni anno le lodi e le polemiche sull’evento si sovrappongono, ma sono funzionali alla dialettica sull’essenza stessa della manifestazione, perché, come ha detto il presidente Baratta «È utile che la Biennale abbia sempre una domanda dentro di sé: che cosa è la Biennale?»

Fino al 23 novembre, Venezia; info: www.labiennale.org/it/architettura

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