L’arte di Jef Aérosol

Roma

Rinchiudere l’arte in categorie, teorizzare movimenti, inquadrare fenomeni sono aspetti legati ad un certo tipo di teorizzazione spesso fuorviante. Jef Aérosol è l’esempio concreto di quanto sia inutile e riduttivo incasellare il lavoro di un artista che da trenta anni opera nel tessuto metropolitano. Aérosol è uno dei grandi maestri che hanno dato avvio ad un movimento, o magari sarebbe più adeguato definirlo fenomeno, che ha investito la società contemporanea attraverso l’utilizzo della stencil art.
Nato nel ’57 in una piccola cittadina francese, dagli anni ’80 interagisce con le strade di tutto il mondo dove le sue icone di personaggi famosi o di semplici persone incontrate durante il cammino, popolano le metropoli, innescano la curiosità di passanti e ammiratori che vedono nel lavoro di Aèrosol la concretizzazione di un sogno, del desiderio di notorietà e di fama.

L’artista si trova in questi giorni a Roma per presentare la sua mostra personale, inaugurata lo scorso 29 maggio, negli spazi della galleria Wunderkammern dove è possibile rintracciare le origini e lo sviluppo dell’iconografia in bianco e nero ideata da Aèrosol. Abbiamo incontrato l’artista qualche giorno prima del vernissage cercando di comprendere le origini dei suoi interventi, non sottraendoci da chiedere cosa pensasse dell’odierno fenomeno della street art.

In una recente affermazione dichiari: ”Io faccio degli anonimi una star e rendo anonimi i famosi. Li riporto al loro status umano, insistendo sul fatto che, famosi o no, siamo tutti uguali e una star è un uomo prima di qualsiasi altra cosa”. In cosa risiede l’origine di questo processo? Esiste qualche particolare ragione nell’utilizzare icone di personaggi famosi?
«Sono nato nel ’57, avevo dieci anni quando nel ’67 cominciò la Summer of Love. A venti anni fui investito dall’ondata punk, ero un teenager nel periodo in cui molte rivoluzioni culturali, politiche, letterarie, musicali ebbero inizio. Avvenimenti come il maggio del ’68 francese, gli scontri contro la guerra in Vietnam, la morte di Martin Luther King, mi influenzarono notevolmente. Tutto questo era in stretta connessione con il radicale cambiamento nella moda, nella musica, nell’arte innescando nei giovani l’inizio di un processo rivoluzionario. Ho vissuto la mia infanzia senza televisione, senza mezzi di comunicazione come il computer o internet e l’unica cosa che possedevo era una piccola radio dove iniziai ad ascoltare i Beatles, Janis Joplin e Jimi Hendrix. Quello che mi interessava era vivere un sogno, il medesimo processo che ho sempre cercato di stabilire nei miei lavori. Le icone che rappresento sono gli idoli della mia infanzia, quando ero un teenager appendevo nella mia stanza i poster dei personaggi famosi, oggi è diverso perché la mia stanza è diventata più grande, è la strada, le città e i muri metropolitani. Sono estremamente interessato alla cultura pop e credo che non esista alcuna differenza tra un ragazzo che suona in un bar e un idolo della musica internazionale, per me hanno la stessa importanza, in fondo le icone del rock sono esseri umani come tutti gli altri».

Come è nato il tuo primo stencil e quale processo si è innescato nella sua creazione?
«Il mio primo stencil nacque nel 1982, avevo 26 anni. Sin da bambino passavo molto tempo a disegnare e a dipingere, collezionavo foto e con l’apparizione della prima macchina fotocopiatrice iniziai a sperimentare. Cominciai il mio percorso quando mi trasferii in Irlanda per studiare inglese e per conoscere meglio la cultura e la storia locale, di ritorno in Francia completai i miei studi e mi spostai poco dopo nella città di Tours dove insegnavo a scuola. A Tours mi sentivo libero, non avevo i miei genitori, i miei insegnanti, nessuno che potesse controllarmi, fu lì che ebbi la possibilità di cominciare a dipingere sui muri. Non avevo mai visto uno stencil in quel periodo, Black Le Rat cominciò qualche mese prima di me a Parigi ma non avevo alcuna idea di cosa stesse accadendo lì. Nel 1981 il tour dei Clash fece tappa in Francia, la prima cosa che notai furono le loro tshirt decorate con gli stencil, dietro il palco un writer newyorkese conosciuto come Futura 2000 stava dipingendo con le bombolette spray delle grandi tele, in quell’occasione per la prima volta vidi utilizzare le bombolette per uno scopo artistico. Quel concerto segnò la mia carriera e di lì a poco realizzai il primo stencil: il mio autoritratto».

Stiamo assistendo in questi ultimi anni ad un’esplosione della street art, cosa pensi di questa nuova generazione di artisti urbani?
«Street art, urban art sono termini che non esistono, non significano nulla. Prima del 2003 nessuno utilizzava la parola street art, questa nuova terminologia ha avuto il suo incipit grazie agli interventi di Banksy e Shepard Fairey. Quello che distinguiamo come street art o urban art non è un movimento artistico bensì un fenomeno planetario che poco ha a che vedere con i graffiti. Sono molto seccato quando i giornalisti utilizzano categorie per descrivere il mio lavoro. Recentemente hanno definito i miei interventi sotto il nome di post graffitismo, in Francia quando ho iniziato a produrre gli stencil non esistevano i graffiti, non c’era nulla in grado di supportare quella terminologia. Il mio lavoro non appartiene al post graffitismo, ha sicuramente una connessione con i graffiti e le tag ma sono fenomeni di cui non mi sono mai interessato. Oggi ci sono molti giovani artisti talentuosi e geniali, altri, invece, sono semplici imitatori ma il grande problema è che tanti intraprendono questa strada solo per fare soldi velocemente. Bisognerebbe fargli capire che il tempo è necessario, che non si può iniziare un’attività con uno scopo preciso, le cose accadono senza alcuna aspettativa, senza spingersi per forza in una necessità di competizione. Rispetto ed ammiro la nuova generazione di artisti, mi piacciono molto gli Etam Cru, ma questa volontà di dipingere muri sempre più grandi è secondo me deleteria, non sempre la grandezza è sinonimo di qualità, bisognerebbe porre attenzione su altri aspetti, sulla passione che spinge ad intraprendere un percorso artistico».

Fino al 19 luglio, Wunderkammern, via Gabrio Serbelloni 124, Roma

info: www.wunderkammern.net

Foto di Giorgio Coen Cagli, courtesy Wunderkammern