L’Italia a Hong Kong

È stato il giorno dell’Italia oggi al Filmart di Hong Kong. A tenere banco il meeting Filming in Italy, patrocinato dall’Ita, Italian trade agency, in collaborazione con l’Agenzia per la promozione all’estero delle imprese italiane e dall’Anica, l’Associazione nazionale delle industrie cinematografiche. Il Belpaese ha molte carte da giocare in termini di appeal e di riprese che puntino sul suo fascino e non a caso Sorrentino e la sua Grande bellezza tiene banco nello spot volto a promuovere l’immagine del nostro paese. Un sogno vero, un’indescrivibile bellezza: così recitano i titoli con le vedute di Roma e Venezia, le location più note nell’immaginario mondiale, in un sottofondo di personaggi noti del cinema e dello spettacolo di casa nostra. Crediti fiscali, fondi regionali e sostegno nella collocazione del prodotto, compresa la ricerca degli sponsor, è quanto può offrire l’associazione a chi guarda all’Italia come set cinematografico o sbocco di mercato. A partire dalla politica creditizia: fino a 5 milioni di euro di finanziamenti (per 20 milioni investiti) e un’esenzione pari a un quarto dei costi di produzione.

A fare il punto con gli investitori asiatici Roberto Stabile (nella foto), responsabile per le relazioni internazionali dell’Anica: «Sulla Cina abbiamo puntato da un paio d’anni, abbiamo aperto un desk a Pechino per orientarci nel paese e in tutti i mercati asiatici, siamo convinti che per il nostro cinema ci siano grandi opportunità. Il tema delle coproduzioni è più difficile e complesso ma crediamo che entro aprile gli accordi possano volgere al termine, entro fine anno potremmo iniziarne un certo numero. Le nostre produzioni presentate a questo evento sono minori rispetto allo scorso anno ma certamente il Filmart rappresenta un’occasione importante per incontrare produttori e distributori di tutta l’area asiatica, un appuntamento da non perdere. Sono stati venduti film italiani ma non abbiamo il polso della situazione, considerato che ci sono anche diversi produttori esteri che vendono prodotti italiani, un report globale si potrà fare solo al nostro ritorno a Roma».

E proprio il recente Festival del cinema di Roma ha visto la presenza di 13 case cinematografiche cinesi, con l’avvio di un buon numero di progetti, come spiega Rossella Mercurio (a sinistra nella foto), responsabile dell’Anica per l’area Cina: «È sempre difficile far entrare produzioni importanti in un paese come questo, perciò abbiamo organizzato un China day durante il festival capitolino con 27 progetti, 4 dei quali saranno presentati al prossimo festival di Pechino, e sono nati interessanti scambi di coproduzione, con sceneggiature a quattro mani. Il mercato locale vuole una scrittura congiunta cinese e italiana a monte, non è sempre facile far confluire questa doppia esigenza in un unico bacino ma è stato un esperimento molto interessante. La lingua resta un bel problema e riflette una distanza di mentalità, ma hanno capito come muoversi, che tipo di storie possono interessare il pubblico cinese che non è certo di nicchia. Il nostro background è molto stratificato, loro sono meno cerebrali, non hanno bisogno di cose troppo complesse anche se hanno radici autoriali, gli piacciono le storie dirette ma non amano molto le commedie eccessivamente semplici. E sono molto interessati a rilanciare la loro produzione con noi, pur amando il cinema d’azione sono un po’ stanchi dei prodotti hollywoodiani e stanno orientandosi verso un cinema fatto di storie, come il nostro, purché non sia eccessivamente semplice».

Quanto d’italiano si è visto sugli schermi del Filmart riflette in buona sostanza questi parametri, il tutto condito con riferimenti alla Cina, strizzatine d’occhio che se ricalcano gli usuali cliché lo fanno con garbo. Prendiamo La sedia della felicità (The chair of happiness), di Carlo Mazzacurati. Una storia gustosa, dove attraverso la semplicità della sceneggiatura, mai banale, rivive la freschezza della commedia all’italiana, forte di un Valerio Mastandrea sempre a suo agio. O dell’Ultima ruota del carro (The fifth wheel) di Giovanni Veronesi che ha avuto l’onore di aprire proprio l’ultima edizione del festival romano, con un Elio Germano perfetto nella parte dell’uomo qualunque capace di superare gli scogli dell’esistenza. Si colloca invece fuori dagli schemi un’altra tra le pellicole in programmazione di matrice nostrana, La santa di Cosimo Alema, vuoi per la scelta della location, uno sperduto paesino del sud, vuoi per la trama dai risvolti tarantiniani. Dove quattro balordi vogliono mettere a segno il colpo della vita rubando la statua della patrona, d’un certo valore, ma quello che pareva un gioco da ragazzi si rivela assai più difficile del previsto e per le vie del paese si scatena una sanguinaria caccia all’uomo.  Anche perché i quattro non sono gli unici ad aver pensato di fare soldi a scapito della santa locale. Nonostante una sceneggiatura più bucata d’un groviera e scene di sesso buttate lì a caso la messinscena è talmente surreale e fuori dagli schemi da dare luogo a un film con un suo perché. Quanto comprensibile agli sparutissimi spettatori, poi, è tutt’altra faccenda. Ultimo cenno a una strampalata produzione italo-polacca: Field of dogs, lavoro onirico e goticheggiante di Lech Majewski dove tra arature nei supermercati e copule di colombi c’è pure spazio per dotte citazioni dantesche, in originale. Ma qui in sala non c’era proprio nessuno per poterle gustare.