Inquieto Novecento

Difficile scrivere qualcosa che approfondisca il titolo della mostra, perfetto per ciò che presenta e racchiude: Inquieto Novecento. La realtà dei fatti è che questo articolo sarà solo una lunga parafrasi a quelle due parole. Al titolo si aggiunge un altrettanto esatto sommario: Vedova, Vasarely, Christo, Cattelan, Hirst e la genesi del terzo millennio. Stiamo parlando della mostra al Lucca (Lucca center of contemporary art) curata da Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni che lascia aperte le sue porte fino al 22 giugno. Scopo dichiarato dell’esposizione è creare domande nell’utopica visione che più punti interrogativi si buttano in piazza e più risposte tornano indietro. Giusto per fare qualche esempio: i nostri artisti contemporanei possono considerarsi interpreti del nostro presente? E se sì, che presente rappresentano? Per dire, che idea avranno di noi fra mille, duemila anni? Oppure: gli artisti del passato (e parliamo di anni Cinquanta) rappresentavano il loro tempo? E soprattutto, da quando abbiamo cominciato a farci queste domande? Una risposta a quest’ultimo quesito c’è, ma non è detto che sia veritiera, risposta (con relativa domanda) che sembra la base stessa dell’esposizione. Dunque: si è cominciato a dubitare dell’artista come interprete perfetto del suo tempo, nel momento in cui ha smesso di esserlo, ovvero con l’avanguardia.

Il problema è tutto qui, anzi è addirittura nella definizione della parola avanguardia. Il termine è stato rubato dal vocabolario militare dove indicava un gruppo di soldati che anticipavano il resto della ciurma per ispezionare la zona nel tentativo di individuare possibili pericoli. Ora, con questa storia dell’avanguardia è successo un casino, non sapevi se gli artisti (ispirati da una maggiore sensibilità di chiaro stampo romantica) erano in grado di prevedere quello che sarebbe successo, e dunque di proporre lavori non più contemporanei per il presente ma contemporanei per il futuro (e quindi lontani dalla tua comprensione); o se, invece, era solo una grande, gigantesca (per quanto ben architettata e giustificata) presa in giro. E pensare che dal dadaismo a oggi non abbiamo fatto un solo passo avanti in questo senso e siamo ormai ridotti così da più di un secolo. Insomma, un cane di alluminio gigantesco che sembra fatto con dei palloncini, animale per il quale l’artista non si è neanche avvicinato al materiale per realizzarlo, può veramente valere 58 milioni di dollari (perché tanto è stato pagato), cioè veramente noi siamo felici che il nostro presente sia rappresentato così?

Chi può dirlo. Certo, neanche i primi lavori di Picasso erano andati giù a molti, difficile credere felici le persone davanti a quelle storture, in pochi illuminati hanno capito che quello era il nuovo linguaggio e così ci è stato tramandato. Nessuno mette più in dubbio giustamente (?) l’importanza capitale che ha avuto il cubismo nella storia dell’arte e della cultura in generale, influenza tanto più forte quanto più il movimento era sentito contemporaneo da alcuni (chiamiamoli così) spiriti sensibili. Che quindi tutti i nostri guai sono cominciati con il cubismo? Forse sì, forse no, perché a ben guardare l’impressionismo fu ben più bistrattato di Picasso e compagni e più di Picasso e compagni segno il suo periodo, la storia dell’arte e la cultura. Dare un inizio ai nostri problemi è un’operazione sterile e lo è così tanto che la mostra a Lucca comincia con gli anni Cinquanta.

È chiaro che l’esposizione non contiene le risposte a queste domande ma tenta di capire come siamo arrivati a questo punto, cerca di tracciare un percorso diviso in quattro sezioni ordinate cronologicamente: Il Novecento tra figura e figurazione, Segnali dalle neo-avanguardie, Verso una nuova poetica e Azioni e riflessioni del terzo millennio. Così si passa da Afro e Vedova della prima sezione, all’Accardi e Castellani della seconda, per incontrare Boetti e Spoerri nella terza e chiudere con Hirst, Cattelan e Sierra. Le opere in mostra (abbiamo citato solo alcuni degli artisti presenti) sono più di settanta e provengono per la maggior parte dalla collezione Red. Se Duchamp avrebbe dovuto continuare a giocare a scacchi, invece di insistere con la carriera artistica, casomai ditecelo dopo aver visto la mostra.

Fino al 22 giugno; Lucca, via della Fratta 36; info: www.luccamuseum.com