Kaboom, la guerra in galleria

Alta tensione alla galleria Artcore che si trasforma in un campo di battaglia. Kaboom è il punto di confluenza, fisico e metaforico, di un campionario di situazioni ad alto rischio, messe a fuoco da Petros Efstathiadis e Ivana Spinelli. Due artisti che mettono in campo i loro guerrieri, una curatrice che modera il conflitto rendendolo ad armi pari. Kaboom esplode come una guerra in miniatura o un conflitto senza fuoco. Non sono solo le armi a essere usate in questo duello, ma anche le tensioni personali, i resti di una cultura di appartenenza che si trasformano in linguaggio visivo diverso per sapore e medium. I conflitti sono prima di tutto personali, partono dalla profondità dell’essere, per uscire allo scoperto, coinvolgendo la società nei suoi molteplici aspetti. L’ironia è la chiave di lettura comune nell’affrontare il dramma esistenziale. Una strategia che permette di stabilire un certo equilibrio con la pesantezza dell’argomento, lasciando uno spiraglio di possibilità. Petros Efstathiadis mette in campo i suoi guerrieri domestici, agghindati come kamikaze improvvisati in posa in contesti quotidiani, privi di identità nel volto ma carichi di addobbi che raccontano la loro natura. Sono pronti per una guerriglia folkloristica, sono armati di intenzioni belliche moderate dall’ironia che diventa una delle chiavi di lettura del lavoro di questo artista greco. Nella sua serie fotografica Troop (“Lohos” in greco), l’artista inquadra una serie di guerrieri senza volto, in cui il cortocircuito è innescato dall’apparente annullamento dell’identità dei personaggi e, di contro, dalla loro minuziosa descrizione in un contesto prevalentemente domestico.

La stessa ironia si rispecchia nel lavoro di Ivana Spinelli, che spoglia invece le sue donne di qualsiasi abito e le incappuccia e le arma meticolosamente, pronte per un’esplosione interiore o esteriore non è dato saperlo. Sono anche i materiali utilizzati dall’artista nelle opere installative, a rievocare un conflitto, un cortocircuito emozionale che spiazza per la forza e l’apparenza dal sapore vagamente pop. Uomini e donne sembrano muoversi con la stessa consapevolezza e determinazione. La casa, luogo di protezione, nido privato, diventa un ring, esattamente come lo è il mondo esterno. Il linguaggio rimanda alla tradizione fotografica del ritratto di studio, in cui la staticità a cui obbligava la lunga posa davanti all’obiettivo è ribaltata dalla tensione, dal fremito che trapela dai corpi pronti all’azione. Caos e casualità entrano nelle dinamiche del tessuto narrativo, che gioca anche sull’aspetto glamour tipico della fotografia di moda. Ma la realtà della grave crisi economica che ha inginocchiato il suo paese e buona parte dell’Europa, a cui fa implicitamente riferimento il fotografo e videoartista greco, è tutt’altro che patinata. Una guerra di potere che s’insinua nella sostanza stessa degli oggetti, non semplici presenze di decoro all’interno della composizione, ma elementi che contestualizzano la storia e rafforzano il senso di precarietà.

Niente è rimasto dell’aspetto innocuo e consolatorio di questi oggetti trovati. L’idea del campo di battaglia è, del resto, insita anche nei materiali utilizzati da Ivana Spinelli. Dalla gommapiuma agli spilli d’acciaio, carta, fotografia, argilla, gesso, capelli, filo, cotone, legno, insetti, materiali che riflettono la dialettica degli opposti: morbidi e pungenti, effimeri e duraturi, costruiti e decostruiti, accoglienti e soffocanti, seducenti e respingenti. È così anche con l’amore, territorio di confronto tra due esseri umani, alla stessa maniera in cui coinvolge comunità e paesi diversi. Analoghi sono, infatti, i meccanismi alla base del loro funzionamento: pace, guerra. Ma nulla vieta alla kamikaze e alla donna-soldato di stringersi la mano, come avviene in Global Sisters. Non si tratta di lieto fine, ma di apertura. La dimensione partecipativa delle opere, il coinvolgimento del pubblico anche nel dialogo tra i due artisti, i materiali e lo spazio, crea quel momento necessario per fermarsi, riflettere, respirare, ripartire. Sono conflitti esistenziali quelli che animano il lavoro dei due artisti, capaci di coinvolgere situazioni dell’animo umano e questioni sociali per amalgamarle in un percorso artistico ricco di riflessioni sull’essere e sull’appartenere alla società, solo l’aspetto dissacrante che sfiora il comico alleggerisce la tensione e il peso del dialogo che si instaura tra i tanti guerriglieri che si armano e si amano in un campo di battaglia del tutto inconsueto.

Fino al 12 aprile; Artcore gallery, via De Giosa 48, Bari; info: www.artcore.it

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