La tempesta a teatro

«Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita». Parole immortali che risuonano al Teatro Vascello di Roma nella messinscena dell’ultimo capolavoro di William Shakespeare, e forse suo testamento poetico, La tempesta, in programma fino al 16 marzo, interpretata dalla Popular Shakespeare Kompany, gruppo di attori nato solo due anni fa col debutto in Romeo e Giulietta e dedito esclusivamente a rappresentazioni di capolavori del Bardo.

Sembra una scelta coraggiosa fondare una compagnia teatrale in tempi di tagli alla cultura e ancor più consacrarla esclusivamente ai testi di un autore classico come Shakespeare. La novità è la postura con cui questi professionisti del teatro, guidati dal regista e attore ligure Valerio Binasco, regalano al pubblico le loro interpretazioni. Presupposto è che lo scrittore di teatro seicentesco è una fonte inesauribile, quindi si sceglie un ritorno al passato, «per coglierne l’immediatezza, per fare di Shakespeare un nostro contemporaneo, – dice il fondatore del gruppo teatrale – portarlo su un piano di fruibilità per lo spettatore senza intimidirlo, renderlo popolare come lo era ai tempi dell’autore. Il nostro obiettivo è contribuire a salvare la scintilla che accende il fuoco del teatro».

La tempesta è una fantasia barocca e può considerarsi un omaggio alla stessa arte drammatica coi suoi incantamenti, che svelano il senso della vita. Giorgio Strehler, che nel 1979 firmò una regia memorabile dell’opera col Piccolo di Milano disse: «Qui, nel cuore della Tempesta, l’uomo di teatro si trova davanti al teatro nella sua ultima essenza. Tocca o crede di toccare gli estremi limiti del teatro. Nella Tempesta c’è l’estrema stanchezza e vanità del teatro e al tempo stesso l’estrema importanza troppo delusa della vita. Occorre un grande coraggio, un disperato coraggio, per fare la Tempesta di Shakespeare oggi. Ma forse è di gesti come questi che proprio oggi si ha bisogno. C’è la glorificazione del teatro, delusa e trionfante, del teatro come mezzo altissimo e insostenibile di conoscenza e di storia, ma, entro certi limiti, inutile, terribilmente inutile o insufficiente, per il muoversi inconcepibile della vita che sempre lo supera». I temi di quest’ opera enigmatica e allusiva, in cui il poeta lambisce l’esoterismo, sono sensibilmente attuali: ambientata in Italia, terra considerata dallo scrittore piena di misteri e meraviglie, racconta la storia di Prospero, alter ego di Shakespeare: è il duca di Milano e grande sapiente, spodestato dal fratello Antonio, vive esiliato insieme alla figlia Miranda (colei che si meraviglia) in un’isola fantastica, abitata da Calibano e da alcuni altri spiriti. Una tempesta, provocata dai poteri magici di Prospero, porta a naufragare nell’isola anche il fratello e gli altri cospiratori. Al centro sta la lotta fratricida per il potere, che assurge a vera ossessione, il senso del destino, gli incantesimi come frutto di vasta conoscenza della natura e soprattutto il perdono, che nasce dall’abbandono dell’irrazionale in nome di una serena razionalità pacificatrice.

«La breve vita è nel giro di un sonno conclusa» e, quando cala il sipario, questo testo composto nel 1611, quasi come un definitivo congedo dalla scrittura, può considerarsi un atto di magia, come una metafora del rito teatrale e della vita/palcoscenico. «La tempesta è una delle opere più sfuggenti di Shakespeare – dice Giorgio Albertazzi – la sua forza è proprio il non sembrare finita e restare aperta. Come disse Pablo Picasso «un quadro finito è un quadro morto».

 Fino al 16 marzo, Teatro vascello, via G. Carini 78, Roma; Info: www.teatrovascello.it

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