Mafai, Kounellis

Roma

Un artista, per essere tale, ha bisogno di esercitare un’attività libera e poetica che preservi intatti i propri fondamenti etici ed estetici. Questa è la lettura che il curatore Bruno Corà propone nella mostra Mafai Kounellis. La libertà del pittore al museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese dal 21 febbraio all’1 giugno 2014. Quaranta dipinti di Mario Mafai dal 1928 al 1964, prevalentemente dell’ultimo periodo, sono oggetto di un “incontro” con uno dei massimi artisti contemporanei italiani, Jannis Kounellis. La mostra, nella sala del Ninfeo al piano terra del museo Carlo Bilotti, ha il segno forte, ideativo e artistico di Jannis Kounellis che, in seguito all’invito di Bruno Corà, ha formulato un intervento unico nel suo genere che si configura come un grande omaggio al più anziano maestro. L’intento esplicito è quello di condividere i presupposti etici alla radice dell’arte di Mario Mafai e di sottolinearne la grandezza. Si tratta di una “rivisitazione” che offre una diversa angolazione di lettura delle sue opere e ne restituisce l’integrità poetica e pittorica. Un’opera gesto, un gesto integrale, forte e semplice con il quale Kounellis usa il suo linguaggio di lamiere per offrire le tele di Mafai. Nel 1957 Mario Mafai azzerò ogni precedente figuralità e, sulla tela, le forme e i colori giunsero ad una decostruzione che ben presto lasciò intravedere una diversa logica di concezione del quadro e della pittura stessa. Su quel ciclo di opere compiute dal 1957 sino alla scomparsa dell’artista nel 1965 sembra rimanere sospesa una percezione pregiudiziale, quasi che Mafai, qualche anno prima di concludere la sua attività con la mostra alla galleria L’Attico nel 1964, avesse rinnegato con quei dipinti tutta la sua pittura precedente. E non sono bastate autorevoli riflessioni di studiosi che hanno efficacemente fornito, almeno sul piano critico, l’opportuno riconoscimento a quanto già Mafai stesso aveva affermato in vita: «Mi rivolgo a quelle persone (amici) che hanno amato la mia pittura e non riescono a giustificare questo mio nuovo modo di rappresentazione. A parte il fatto che l’arte non può ripetersi e va in cerca di nuove invenzioni e di nuove realtà (…) sarebbe stato onesto proseguire in quel compiacimento tonale, nel gusto di mura morte e di fiori morti? Ancora ho qualche anno per essere vivo e per cercare una nuova concezione del tempo dello spazio e della verità» (7 gennaio 1964). Nelle pagine del diario di quegli anni, Mafai parla di una propria nudità raggiunta per una nuova e maggiore verità. Nessun tradimento della propria storia pertanto, si appresta ad affermare il pittore, ma al contrario una sua radicale riduzione all’essenziale della propria pittura. Una ricca e esauriente sezione documentaria – curata dalla figlia di Mario, Giulia Mafai – attende i visitatori al piano superiore del museo per proporre foto, autografi, libri, locandine, cataloghi e altri significativi reperti che tracciano la metamorfosi del percorso biografico di Mafai e le sue relazioni artistiche. Non mancherà una sezione video con il filmato Mafai mio padre (1968), per la regia della stessa Giulia Mafai, messo a disposizione dell’istituto Luce.

Articoli correlati