Non tutto deve essere visibile

Al secondo appuntamento dell’ottava edizione del Gioco serio dell’arte ideato e condotto dall’autore e attore teatrale Massimiliano Finazzer Flory, e tenutosi a palazzo Barberini, è stato il premio Oscar Gabriele Salvatores protagonista del dibattito sull’importanza del raccontare e sulle persuasioni che la letteratura e la pittura possono avere sulla realizzazione di un’opera cinematografica. Durante l’incontro, Salvatores, apre strade di riflessioni su quello che più caratterizza l’arte cinematografica e il suo linguaggio estetico ed etico anche attraverso alcune opere di pittura spiegate in modo accessibile e non affatto approssimativo da Anna Lo Bianco. L’accostamento e il confronto tra alcuni film del regista e varie rappresentazioni di opere d’arte famose hanno reso possibile una logica esaltazione di linguaggi diversi che uniti tra di loro trovano sbocco nel completare la comprensibilità di un tema trattato e irrobustirne il senso; lungometraggi come Educazione Siberiana e Come Dio Comanda pongono l’accento su argomentazioni quali l’esaltazione della violenza, il decadimento sociale e il rapporto tra padre e figlio in un gioco voluto di luci e ombre che incontra forte aderenza estetica e significato approfondito nella Ronda dei carcerati di Van Gogh, nel Sacrificio di Isacco di Caravaggio e nella Zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) di Géricault.

L’esposizione non confusionaria del confronto tra pittura e cinema risulta ben pensato e strutturato in maniera tale da attirare e incuriosire anche persone che non si occupano di arti visive, e Salvatores mantiene costante l’ascolto dei presenti in sala raccontando le difficoltà anche tecniche che comportano la riuscita di un film. Con atteggiamento confacente il regista amalgama aspetti esistenziali e prettamente artistici con una certa autoironia e restituendo un qualcosa di poetico che riguarda l’arte cinematografica stessa; il cinema rappresenta i fantasmi del nostro passato, i rapporti interpersonali e famigliari, le tappe che scandiscono la nostra storia e il nostro tessuto sociale, e interessanti sono le differenze culturali riflesse dalle varie produzioni cinematografiche appartenenti alle diverse nazioni sparse nel mondo.

L’autore resta contrario all’uso di un linguaggio che tenta di far vedere tutto poiché anche il buio a volte può riempire uno stato d’animo e potenziare il senso di ciò che si vuole raccontare; non saturare gli occhi di chi guarda è fondamentale per lasciare spazi aperti che accompagnano lo spettatore a percorsi di pensiero inerenti al proprio modo di percepire le immagini e la propria emotività. Il cinema deve anche restare un’arte improvvista e non è necessario che risulti perfetta; va umanizzata per concedere quel senso di realtà che in fondo non si distanzia troppo dalle nostre esistenze, e deve rimanere un viaggio in progressione anche attraversando il male che, in contrapposizione al bene, costruisce il percorso di un essere umano in un apparente disordine ma che in realtà spinge alla ricerca della propria interiorità e alla comprensione degli accadimenti. È stato interessante osservare come la pittura sia in realtà un’arte in movimento come quella cinematografica; attraverso la conduzione di Finazzer Flory e la spiegazione della Lo Bianco è stato possibile percepire l’anima, la crudezza e la profondità che costituiscono la potenza delle opere presentate; nell’epoca delle nuove tecnologie dunque il saper raccontare continua ad essere un mondo aperto e innovativo, e alla domanda rivolta a Salvatores su quale sia l’aspetto utilitaristico del linguaggio cinematografico inerentemente a questo nostro periodo di forte crisi economica e sfiducia giovanile l’autore risponde che «Il cinema può servire ad aprire nuovi punti di vista rispetto a quelli dai quali siamo circondati».