La mostra Mario de Maria. Il pittore delle lune, che si è inaugurata a Palazzo d’Accursio a Bologna, ripercorre quella che è stata la fiorente ma purtroppo troppo poco conosciuta produzione artistica del pittore bolognese. Nato nel 1852, Marius Pictor (come è solito firmarsi dal 1894) viene ispirato agli albori della sua carriera dalla cultura e dallo stile macchiaiolo, con una predilezione assoluta al tema paesaggistico e architettonico; già dai suoi primi dipinti, rigorosamente olio su tela, si intravede quella che sarà una caratteristica distintiva del suo stile: l’assenza quasi assoluta della figura umana. I corpi sono trattati come ombre passanti e sfuggevoli, dai contorni non definiti; il più delle volte di schiena, i suoi personaggi abitano in maniera passiva il paesaggio che li fagocita in un gioco di luci e ombre. Se da un lato in Italia si affacciavano preponderanti gli universi delle avanguardie, De Maria ci si allontana volgendo il suo sguardo verso le culture nordiche, più decadenti e simboliste, restando però sempre radicato ad una rappresentazione del reale e del quotidiano.
È questo il caso di opere come Il Tevere in piena o La luna sul Tevere del 1883: trasferitosi da Bologna e Roma, il pittore entra in contatto con un ambiente più internazionale e aperto a comprendere il valore delle sue opere, esponendo la sua prima personale nel 1886. Gli scorci si fanno sempre “velati” da quella luce lunare così misteriosa, che crea momenti di suspense e sottile angoscia; i soggetti sono le rovine, i campi, le stradine secondarie, luoghi dove vive una memoria introspettiva e sentimentale. Di questo periodo è l’incontro con Gabriele D’Annunzio con il quale l’artista instaurerà un’amicizia profonda e dalla cui poetica attingerà per realizzare numerosi dipinti e illustrazioni. La predilezione di Mario de Maria alle atmosfere notturne entra in contatto con Parigi tra il 1880 e il 1890, dove realizza il magistrale dipinto intitolato Una sera d’estate a Parigi, che in qualche modo anticipa le atmosfere surrealiste alla Magritte.
Sperimentatore di stili e tecniche, l’artista ritrova il colore trasferitosi a Brema, immergendosi nuovamente nella natura più rasserenante. Ma è a Venezia che De Maria raggiunge i massimi livelli artistici, sia in materia di originalità che di sperimentazione. Entrato a pieno titolo all’interno della scena intellettuale veneziana, l’artista è tra i principali organizzatori delle prime edizioni della Biennale e si interessa, contemporaneamente alla pittura, di fotografia e architettura, progettando e realizzando diversi edifici tra cui la casa dei Tre oci (1912-1913). Moderno e visionario, l’artista riempie le sue tele di mostri e presenze incorporee, tutto racchiuso all’interno di ambientazioni oscure e paurose dove l’unica fonte di luce sono proprio quelle ombre lunari, appunto, che tingono il mondo di tonalità plumbee. Perfettamente rappresentativo di questo stile lunare e della propensione e vicinanza alla poesia decadente dannunziana è La danza dei pavoni o Eliana (1886-1890), vedi foto, dove la materia fluttuante di cui sono fatti gli animali crea un’armonia di movimento attorno alle architetture solide; una danza leggera dedicata alle donne morte per amore come recita la poesia dal quale prendono vita “a torme candidi paoni, lenti, silenti come neve in aria, discendono su l’agili ringhiere. Sono le spose morte di piacere, che tentan la dimora solitaria” (Gabriele d’Annunzio, I sonetti delle fate, 1914).
L’Associazione Bologna per le arti con questa mostra si propone di riportare alla città uno dei suoi più particolari e originali artisti, eclettico e indipendente, spirito libero e innovativo nel passaggio tra due secoli. Curata da Elena Di Raddo, l’esposizione è allestita nella sala d’Ercole, Manica Lunga e sala Farnese di Palazzo d’Accursio. Info: www.mariodemaria.com