Per commemorare il primo anniversario dalla morte di Antoni Tàpies, il Guggenheim di Bilbao dedica fino al 19 gennaio un’importante retrospettiva all’artista catalano. Antifranchista e catalanista, Tàpies intendeva l’arte anche come impegno politico, sociale ed etico, anche se della sua esperienza artistica un posto di particolare rilievo ha il peculiare utilizzo materico della pittura, teso a far confluire nella tela qualunque oggetto derivato dalla quotidianità.
Indiscussamente singolare e riconoscibile nel suo tratto stilistico, l’artista è stato sempre incline ad accogliere le più diverse influenze artistiche, fascinato prima da Joan Mirò e Paul Klee, poi da Picasso e toccato profondamente dalla letteratura esistenzialista di Sartre, che divorava instancabilmente. Nonostante convergano in lui i tratti di questa e di quella corrente artistica, Tàpies è stato e continua a essere annoverato tra i principali esponenti dell’informale materico: «Io sono stato catalogato nell’informalismo, ed è un’etichetta da cui non posso sbarazzarmi – afferma l’artista – E ciò mio malgrado, perché non ho mai firmato alcun manifesto in favore di qualsiasi movimento. Ma sono scritto nella storia come un informale».
Dominante nel suo lavoro è lo studio e l’impiego di materiali diferenti, come sabbia, argilla, legno, ceramica, metallo, tesi a dare spessore alla tela e alle sculture, trasformando e stravolgendo il significato degli oggetti scelti, che, pur riconoscibili, prendono vita nel non-finito. Questi ultimi subiscono una vera metamorfosi, ricondotti da umili elementi funzionali a simboli complessi, nei quali Tapies infonde la sua sottile poetica artistica. Sedie, piatti, letti, armadi, scarpe: ogni cosa lo attrae e diventa protagonista nelle sue costruzioni mentali, in cui l’oggetto rimane oggetto, ma il suo significato trascende la materia. Specchio interiore delle sue inquietudini, gli oggetti rappresentano il filo conduttore di un’interiorità che diventa anche segno universale: l’artista è allo stesso tempo pittore dei drammi propri e di quelli del ‘900. I ricordi della guerra civile spagnola aleggiano nei suoi lavori, percepibili nella scelta formale di colori cupi e drammatici, nell’incisione graffiata, quasi primitiva, delle sue composizioni. È il caso della croce, che è simbolo condiviso ricorrente, ma al contempo simbolo dell’ascensione dell’io, nonché semplificazione elementare segnica della lettera iniziale del cognome del pittore. Il lavoro manuale, il contatto con i materiali ha una grandissima rilevanza nell’opera dell’artista, il cui motto d’altronde era: «Io lavoro con le mie mani, tu ascolti con le tue orecchie», desunto da un’antica frase del pittore e poeta cinese Shitao.
Il titolo della mostra di Bilbao, Dall’oggetto alla scultura, è pertinente nella sua sintesi concettuale, poiché evidenzia l’importanza di questa metaforfosi che vede elevare l’elemento oggettuale, normalmente disprezzato e sottovalutato nelle sue potenzialità, a rango di scultura: siamo a metà strada tra ciò che aveva cominciato l’informale e quanto avrebbe continuato l’arte poverista (seppure con le sue contraddizioni). Sponsorizzata da Iberdrola e curata da Álvaro Rodríguez Fominaya, la mostra è organizzata in ordine cronologico al secondo piano del museo e presenta circa un centinaio di lavori, che vengono esposti secondo una scala dimensionale, a partire dagli oggetti monumentali per arrivare a quelli più piccoli, ed in modo da illustrare la grande varietà di materiali utilizzati. Si tratta della quarta mostra su Tàpies organizzata dal Guggenheim. La prima e più grande retrospettiva era stata organizzata nel 1962, curata da Lawrence Alloway al Solomon R. Guggenheim Museum. Questa di Bilbao propone in maniera approfondita il lavoro dell’artista e il suo vocabolario, in bilico tra potenza semiotica e potenza intimistica: la mostra è «un concerto silenzioso, un dialogo tra artista e pubblico», come afferma il suo curatore, che lascia la parola alle mani di Tapies e conferisce ampio spazio fisico e concettuale alle sue opere all’interno delle sale.
Incentrata sul labile confine tra oggetto e scultura, la mostra espone i primi assemblages degli anni ’60-’70, per poi passare alle più recenti sculture in bronzo e ceramica, senza tralasciare niente. Esaustiva e densa, l’esposizione rende perfettamente giustizia alla complessità di un personaggio che ha inciso, oltre che sulla materia, sulla storia dell’arte, le iniziali indelebili del suo nome e cognome.
Fino al 19 gennaio, Guggenheim, Av Abandoibarra 2, Bilbao; info: www.guggenheim-bilbao.es