Il soccombente

Era il 1983 quando Il soccombente usciva in Germania, a opera di Thomas Bernhard. Una storia di fiction a partire da un personaggio reale, Glenn Gould, massimo interprete delle Variazioni Goldberg di Bach. Tre giovani pianisti s’incrociano al Mozarteum di Salisburgo, a lezione da Wladimir Horowitz. Due promesse e una certezza: Gould, appunto, che modificherà la percezione di sé e il vissuto degli altri al punto da portarli a misurarsi con la propria incapacità artistica e a desiderare altro, o l’annullamento di sé, conducendo una vita all’ombra del loro giovane vate. Più che il racconto di un’amicizia, o meglio della sua assenza, è quello di una mancanza, dell’impossibilità o incapacità di essere, quello trascritto in pagina dall’autore austriaco nel primo lavoro della sua trilogia dedicata all’arte e in parte autobiografico, tradotto da Adelphi (la stessa editrice del Gould saggista) un paio di anni dopo. Nella riduzione teatrale di Ruggero Cappuccio, Il soccombente è sul palco del Piccolo Eliseo di Roma ancora per questo fine settimana, fino all’8 dicembre, per la regia di Nadia Baldi.

Spettacolo a due di vecchia scuola, Il soccombente ovvero il mistero di Glenn Gould nell’adattamento alla regia fatto dall’autrice si avvale di una coreografica Marina Sorrenti, a cui è affidata la parte della sorella di Wertheimer – il soccombente in questione, così appellato da Gould alla cui bravura pagherà un fatale pedaggio – e l’io narrante, tardo biografo del pianista e crudo testimone della vicenda, in cui s’intravede lo stesso Bernhard, affidato all’immenso Roberto Herlitzka. Valutare Herlitzka alla luce del soccombente è come discettare di Dostoevskij limitandosi al Giocatore. Eppure è proprio alle sue doti istrioniche di grand narrateur che si affida l’intera vicenda, altrimenti scarna ai limiti dell’essenzialità scenica e a tratti pasticciata nei suoi flashback emozionali. Un mostro sacro, l’autore torinese, e può ben approfittarsi delle ultime battute per gustarlo sul palco del Piccolo e, dall’8 al 16 gennaio, al Teatro Franco Parenti di Milano. Un’ora e venti minuti che vi faranno tornar voglia, se non altro, di rimettere sul piatto le note di quell’altro mostro destinato a schiantarsi sulla tastiera con le sue Variazioni che alla metà degli anni ’50 furono capaci di surclassare i grandi del jazz di allora, imponendo ai gusti e alla sensibilità del grande pubblico le semisconosciute sonate per il maestro di cappella Goldberg. Oggi annoverate tra i capolavori dell’umanità, al punto d’averle infilate nel Voyager 1 come ambascerìa della cultura immateriale della Terra.

Articoli correlati