La prima storia del mondo

Quando George Smith disse, nel 1872, in una seduta della Society of biblical archaeology appena fondata: «Ho scoperto fra le tavolette d’argilla assire del British museum un resoconto del diluvio», lo stupore deve essere stato lo stesso di quando François Englert ha detto, nel 2012, al Cern svizzero: «Ho trovato il bosone di Higgs». Ovvero, la sorpresa per la scoperta di un punto zero. Rovistando fra il materiale del British museum, portato lì dalla Mesopotania dall’archeologo Hormuzd Rassam, di cui Smith era assistente, lo stesso Smith ha trovato, o meglio ha confermato, quello che il suo maestro sospettava: quelle tavolette d’argilla incise con scrittura cuneiforme erano (e sono) la prima storia nota mai scritta dall’uomo,1.500 anni prima dell’Iliade. Erano (e sono) l’inizio della letteratura mondiale. Appassionarsi alla faccenda non deve essere stato difficile e fra missioni di scavi, finanziati dal Daily Telegraph e dal British museum, divisi fra terre mesopotaniche e relative scoperte di biblioteche che spuntavano fuori come funghi in città (Ninive, Nimrod, Niffar e Nippur) che prima nessuno pensava potessero esistere, salta fuori che la storia del Diluvio non è isolata ma fa parte di un poema epico che narra le gesta di un tale re di Uruk, Gilgamesh. È qui che Smith è morto. Le fonti dicono sia per le pessime condizioni nelle quali si svolgevano gli scavi allora, noi sappiamo non essere così.

Chiaro come il sole che risplende sul Tigri e l’Eufrate, gli scritti su Gilgamesh sollevano un polverone. Gli studiosi si dividono fra chi vedeva le influenze del testo sulla Bibbia, chi sull’Iliade e chi su nessuna delle due. A questi si aggiungono ben presto assirologi vari che cercano di individuare le date dello scritto, di dividere le tavole babilonesi da quelle assire, da quelle scritte in ittita, in hurrita e in lingua indoeuropea. Insomma, per fare un po’d’ordine il poema che ora si chiama L’epopea di Gilgamesh è composto dalle sole tavole babilonesi (12 se consideriamo anche l’ultima che per molti è una leggenda separata e più recente) scritte fra il 2600 e il 2500 avanti Cristo e per quanto ne sappiamo è veramente la storia più antica del mondo. Gilgamesh, date le molte versioni in altrettante lingue che ci sono pervenute, deve aver avuto un certo successo letterario, tanto che esistono tavole che ne fanno una parodia, senza contare la notorietà che doveva avere nella tradizione orale per giustificare in qualche modo il ricorso allo scritto. Quello che Smith e compagni hanno riportato alla luce non è solo un poema epico ma la scoperta di un’intera letteratura andata distrutta dopo la caduta di Ninive e rispuntata solo nel XIX secolo. Letteratura che ha lasciato pochissime tracce e influenze (del resto impossibili da documentare) negli scritti successivi e che ancora oggi anima molte cene eleganti fra assirologi, grecisti e studiosi della Bibbia.

Ma cosa si raccontavano all’alba dei tempi i nostri antenati? Forse stupirà il fatto che Gilgamesh non è una storia di guerra, sorprenderà che non è una storia d’amore (almeno non fra un uomo e una donna) ma come più logicamente conviene alla prima storia del mondo, il soggetto del racconto è la più grande e antica paura umana: la morte, o meglio l’immortalità. Gilgamesh è il re della città di Uruk, non era un cattivo sovrano ma data la sua natura per due terzi divina e un terzo umana ha molti atteggiamenti, diciamo così, esagerati. Il popolo stanco di questo sovrano estremo che sfidava ogni cittadino vincendo continuamente, che toglieva la prima notte di nozze ai novelli sposi, si rivolge ad Anu, dio della città, che a sua volta gira tutto ad Aruru dio della creazione per sistemare le cose. Aruru, non essendo un guerrafondaio non uccide nessuno ma manda sulla terra un gemello di Gilgamesh, altrettanto bello e soprattutto forte, Enkidu. L’alter ego del re lo sfida e lo vince, il sovrano da bravo sovrano diventa il miglior amico del suo sfidante. I due stringono un rapporto fortissimo essendo praticamente fratelli, passano giorni felici e per loro e per i cittadini, giorni lieti interrotti solo dalla morte di Enkidu. Gilgamesh disperato intraprende un viaggio ai confini del mondo per incontrare il Lontano, ovvero l’unico uomo sopravvissuto al diluvio universale, (in un colpo solo Odisseo e Noè). Trovatolo si fa raccontare il suo segreto, il re capisce che nulla di ciò che ha vissuto il vecchio si potrà mai ripetere e torna a casa distrutto. Qui se si considera la dodicesima tavoletta, per molti un falso, il re muore.

Dodicesima tavoletta esclusa dal racconto di Alessandra Grimaldi, illustrato da Laurie Elie e Forough Raihani, pubblicato per l’Asino d’oro e intitolato Gigamesh l’epopea del re di Uruk. Il volume riprende il poema più antico del mondo con il pregio di purificare la narrazione e da infinite note storiche linguistiche e da un linguaggio epico riportando quel piacere per la storia che doveva appassionare così tanto i nostri antenati all’inizio della civiltà. La visione che la Grimaldi dà della storia viene divisa in capitoli lunghi una pagina dove alle parole si fondono le chine e gli acquerelli delle due illustratrici che per certi versi materializzano l’atmosfera assiro-babilonese, ricordando al lettore l’origine di quella trama. Il volume si apre con un’interpretazione del re e del suo rivale, poi fratello, presentati frontali, simili, bellissimi e antichi. E da lì è tutto un fondersi di immagini e parole dove a pagine piene di forme e colore si alternano fogli ricchi di trama. In occasione della presentazione del volume è stata inaugurata una mostra al palazzo delle Esposizioni di Roma che espone alcune delle tavole presenti nel volume più un disegno inedito eseguito dalle due artiste direttamente sui muri dello spazio.

Un libro tirato su da una squadra internazionale, come si addice a un eroe di tale portata, perché le due illustratrici sono una francese, Elie, e l’altra Iraniana, Raihani, ma entrambe vivono a Firenze, mentre la Grimaldi, nata a Roma, dice di aver conosciuto grazie a Gilgamesh «l’amore che cambia tutto, la morte che fa parte della vita, l’inutile ricerca dell’immortalità, la riscoperta di passioni e affetti che rendono umani». Ma forse il merito più grande del libro è quello di riportare l’attenzione su Gilgamesh che ricordiamo: “Era saggio: vide misteri e conobbe cose segrete: un racconto ci portò dei giorni prima del diluvio. Fece un lungo viaggio, fu esausto, consunto dalla fatica; quando ritornò, su una pietra l’intera storia incise”.

Gilgamesh l’epopea del re di Uruk, Alessandra Grimaldi, Laurie Elie, Fourough Raihani, L’asino d’oro edizioni, 63 pagine, 20 euro

Info: www.lasinodoroedizioni.it

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