Fausto Pirandello torna ad Agrigento, terra natia del padre Luigi e teatro delle tante giornate passate lì con la famiglia. Torna per raccontare altri giorni. Non quelli della gioia e della spensieratezza, ma quelli del dolore. Con una preziosa mostra fruibile nei locali delle Fabbriche Chiaramontane fino al 23 febbraio, l’artista racconta Il Tempo della guerra. Quella guerra che è stato chiamato a combattere, tra i Ragazzi del ’99. Li chiamavano così quelli che erano nati nel 1899 e che adesso la guerra la andavano a guardare in faccia. Pirandello ha visto come fosse fatta e ce ne ha lasciato il ritratto. Crudo, dolente. Se si pensa che al dolore collettivo della guerra si aggiunge quello intimo della scomparsa del padre, nel 1936. All’esperienza della guerra e della perdita, Pirandello risponde col ricordo, la malinconia. Lui, che insieme vive la guerra mondiale e quella delle emozioni, inizia a peregrinare per quei luoghi che aveva visitato con i genitori e che oggi per la prima volta gli dedicano una personale. Saranno loro a ispirare la produzione di dipinti che raffigurano spiagge e bagnati, come vecchie cartoline ritrovate in un cassetto. A documentare quella triste pagina mondiale e privata, oltre sessanta opere, molte provenienti da istituzioni e musei; altre da gelose collezioni private romane, milanesi e siciliane; altre ancora inedite, per lo più opere su carta: sanguigne, pastelli e acquerelli. Tra quei disegni, i quattro preziosi lavori che aveva proposto per il progetto E42, indetto dal fascismo per decorare gli edifici del nuovo quartiere dell’Eur, ma che gli vennero rifiutati. La pomposità e la magnificenza del regime mal si sposavano con il crudo realismo di Fausto Pirandello.
All’indomani dalla morte del padre si conclude per il figlio un periodo artistico complesso, in cui aveva subito l’influenza dell’arte etrusca, ma anche dell’arte cubista, della metafisica, del surrealismo, da cui desume la capacità di trasmutare la realtà in allucinazione. E si apre il sipario su un nuovo tempo, cupo e drammatico. Come se il variopinto autunno, cadute le foglie rosse, verdi e gialle dai rami, avesse lasciato spazio al gelo desertico dell’inverno. È allora che le sue pennellate sfociano in un sofferto espressionismo, facendolo avvicinare alla ricerca della Scuola romana, condotta da Mafai e dal giovane Guttuso, all’interno della quale Pirandello si annovera come “tonalista”. Un passaggio, quello dalla stagione parigina a quella romana, racchiuso in poche opere che aprono la mostra, prima di condurci agli anni della guerra. Tra queste, Scena campestre (1926), Donna con bambino (1929) e il misterioso Testa di bambola, che nella sua inquietudine anticipa la stagione artistica successiva e che Pirandello dipinge pochi mesi prima della morte del padre. Quel padre che gli avevo lasciato un’eredità a volte scomoda, per la voglia di non essere solo “il figlio di”, ma enormemente preziosa, perché gli aveva lasciato la stessa capacità di fare poesia, non con le parole, ma con la pittura.
Info: Fino al 23 febbraio 2014 – www.fabbrichechiaramontane.com