I disegni di Carlo Erba

La storia di Carlo Erba ha il suono delle poesie di Guido Gozzano, la sua (breve) esistenza è trascorsa fra quelle buone cose di pessimo gusto che raccontava il poeta. Un’educazione borghese quella del pittore: il padre erede della ditta farmaceutica di famiglia, studi di chimica all’università di Genova e una classica ribellione che lo porta a mollare baracca e burattini per darsi all’arte. Ogni azione comporta una reazione e pensare che la vocazione creativa di Carlo passasse senza colpe in una famiglia da bene nella Milano dei primi del Novecento sarebbe un errore storico. Il padre taglia i fondi al figlio che, lasciata l’università, torna nel capoluogo lombardo per studiare nudo all’accademia di Brera. Per mantenersi il giovane pittore decora pareti di quegli interni borghesi che tanto odia. Nel mentre comincia a muoversi in quella città in fermento dove stringe amicizia con Carlo Carrà per poi approdare al neonato futurismo.

Facile, forse troppo facile, sfogare la ribellione giovanile dietro le linee tese e l’anticonformismo di una delle prime avanguardie europee, semplice seguire le parole di Marinetti che alla luna preferisce la lampada elettrica, alla carezza sostituisce lo schiaffo e al sonno la veglia tesa. Eppure Erba inizialmente sta al gioco, conosce Bocconi e compagni, segue la violenza del colore, l’amore per la velocità che si rispecchia nelle sue tele del periodo così simili a quelli del ben più anziano Balla che come il nostro (e un po’come tutti gli altri) condivide un passato da divisionista, passaggio obbligato per frammentare la luce al servizio dell’avanguardia italiana. Facile, dicevamo, e Erba lo sa: lascia il gruppo, si prende i rimproveri di Boccioni e fonda un movimento tutto suo, Nuove tendenze, insieme a Giulio Ulisse Arata, Leonardo Dudreville, Achille Funi e Giovanni Possamai.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio e Erba, da bravo futurista prima che bravo cittadino, parte per la grande guerra. Guerra uguale progresso scriveva Marinetti, la guerra come sola igiene del mondo, guerra che costò cara a due dei più grandi protagonisti del futurismo: Boccioni e lo stesso Erba che da quella trincea così  agognata non sono mai tornati. Carlo Erba muore il 12 giugno del 1917 nella battaglia dell’Ortigara, nei primi giorni dell’Azione K, tra i maggiori massacri di quella guerra. Per uno splendido paradosso la galleria Russo di Roma espone ciò che di più lontano ci può essere dal brivido futurista e dalla guerra: disegni. Matita su carta, niente colore, il necessario per buttare giù un’idea. Sarebbe scorretto non vedere fra quelle linee un’ottima mano e una violenza del tratto giustificabile solo con il ricorso all’avanguardia. Sono 60 i lavori in mostra, esposti come il backstage di uno spettacolo, opere che ripercorrono il cammino turbolento del pittore, dai ritratti quasi ottocenteschi agli studi per la scomposizione di matrice cubista. Ma forse il merito più grande della mostra è quella di aver ricollocato il lavoro di Erba in quella tensione tutta novecentesca fra mondo borghese e creatività così ben espressa da Gozzano.

Fino al 12 dicembre; galleria Russo, via Alibert 20, Roma; info: www.galleriarusso.com