Il collezionista e il suo tesoro

Gli ultimi quarant’anni (1973 -2013) dell’attività galleristica di Massimo Minini si festeggiano in Triennale dove si celebra la sua operosità e il suo dinamismo attraverso i pezzi della sua collezione personale, i quali delineano una parte nodale della storia dell’arte contemporanea. D’intenso spessore è il progressivo cammino all’interno dello spazio espositivo dove si mostrano ai tanti appassionati grandi installazioni, opere site specific, racconti con flash back, fotografie e materiale dell’archivio personale. Riflettendo sulla figura del collezionista Minini racconta: «Il collezionista è colui che costruisce un organismo. Naturalmente la formazione del giudizio di un collezionista, che spesso pretende di essere lui il faber della propria collezione, questa somma di giudizi è formata da una serie di informazioni che lui come noi riceviamo dal mondo esterno». Inoltre, Minini sostiene: «Un archivio di lettere, di scritti, di fotografie è altrettanto importante che un opera d’arte. È importate avere le opere ma anche conoscere tutto ciò che sottende l’opera; quindi in un archivio ci sono i documenti, dei minimi indizi che ci possono servire per capire la formazione di un’opera e di un artista».

L’importanza e la formazione di un archivio Massimo Minini le ha imparate grazie alla costruzione del proprio archivio personale. Con il tempo si è accorto che tutto il materiale, che andava in crescendo, sarebbe andato perso e sarebbe rimasto senza scopo senza un analisi e un ordine. «L’archivio è il deposito della memoria storica e credo che vada conservato perché è la parte più debole della nostra eredità – mette a nudo il gallerista – voglio dire che quando non ci sarò più probabilmente le dieci opere maggiori verranno fatte fuori subito per far cassa, le altre staranno lì e di tutta questa carta, questa massa di informazione gli eredi non sapranno cosa fare e anzi sarà un peso per tutti». Proteggendo un archivio si protegge la nostra identità ed è per questo che in mostra è presente parte del suo archivio personale.

La Triennale di Milano presenta così passo per passo le tappe del percorso collezionistico che rende Massimo Minini e la sua galleria depositari e tesorieri della nostra identità artistica; dai movimenti dell’Arte Concettuale, dell’Arte Povera e Minimal; tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta si notano i lavori di giovani artisti sia italiani che stranieri come Ettore Spalletti, Jan Fabre, Didier Vermeiren, Bertrand Lavier, Anish Kapoor, Alberto Garutti, Icaro, e di coloro che hanno intrapreso una ricerca sul figurativo, quali Salvo, Luigi Ontani, Ger Van Elk, Ryan Mendoza, Jiri Dokoupi, inoltrandosi nella seconda metà degli anni Novanta vengono messi in luce una serie di artisti italiani, per esempio Eva Marisaldi, Stefano Arienti, Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft che fiancheggiano quelli considerati storici, quali Boetti, Accardi, Fabro, Paolini, LeWitt, Barry, Graham, Buren ed altri ancora Non mancano gli artisti che sono stati protagonisti dell’ultimo periodo della galleria come Luigi Ghirri, Yona Friedman, Roger Ballen, Nedko Solakov, Haim Steinbach, solo per citarne alcui.

Fino al 2 febbraio; Triennale di Milano, viale Alemagna 6; info: www.triennale.org