Architetture resistenti

Un’architettura diversa si può. Anzi, si deve. Parte da questo assunto l’istruttivo graphic novel Architetture resistenti (128 pagine, 16 euro), edito da Becco Giallo, che rappresenta – anche per il lettore meno avvezzo alla materia – un interessante viaggio nei luoghi e negli edifici del Belpaese simbolo di un’architettura militante, coraggiosa, visionaria. Diversa, insomma. Gli stabilimenti Olivetti a Pozzuoli, nel napoletano, il museo dell’olocausto nella Risiera di San Sabba a Trieste, il parco Archeologico di Selinunte a Trapani, il museo della memoria a Bologna, l’auditorium dell’Aquila. Da nord a sud della penisola, le Architetture resistenti – al pari dell’acqua, della terra, dell’aria che quotidianamente respiriamo – fanno parte della nostra esistenza, aiutandoci (perché no) a vivere meglio.

A cura di Raul Pantaleo e Luca Molinari, disegni di Marta Gerardi, il volume a colori si snoda lungo il racconto di una giornalista immaginaria, la signorina Beni Ponti, che riceve dai vertici della sua testata un nuovo incarico: occuparsi della rubrica di architettura («vogliamo da lei articoli tanto belli da fare invidia alle migliori riviste in materia»). Intervistare l’architettura: è questo l’obiettivo della cronista. Un lavoro, quello che dovrà svolgere, che prima appare irrealizzabile, datole appositamente con l’intento di licenziarla («quella Beni è una rompiscatole come poche, non vuole giungere a compromessi ed è fin troppo esigente»); quindi muta in un magnifico cammino nella storia di architetture che celebrano la voglia, profonda, di opporsi al fascismo, alla speculazione, all’economia selvaggia, all’ingiustizia, alla rovina dell’ambiente, alla barbarie.

Architetture che, si badi bene, «rifiutano la spettacolarizzazione e la monetizzazione della realtà, la concezione degli architetti come divi dello spettacolo, la moda effimera e superficiale», si legge sulla quarta di copertina. Dunque l’inciviltà deve essere rigettata lasciando spazio ad etica e creatività, diritti e innovazione, bellezza e futuro, adesione e presa di coscienza. In questo cammino siamo (dovremmo essere?) tutti degli avveduti esploratori del contemporaneo, alla ricerca di un’architettura come mezzo e non come fine. Perché, come affermava – purtroppo per molti, invano – Peppino Impastato, «se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà».

Info: www.beccogiallo.org