Edvard Munch a Genova

Edvard Munch appartiene a quella schiera d’artisti che più o meno nello stesso periodo storico smettono di trattare l’arte come una finestra sul mondo. Il norvegese vede nella tela bianca una possibilità di specchiare la sua realtà, soggettiva, distorta per forza di cose, incomprensibile, non certo allegra. In qualche modo, lui e altri suoi contemporanei, chiudono quella finestra spalancata sulla vita comune per concentrarsi su loro stessi, portando a compimento quel processo tutto romantico dell’artista creatore di mondi dal nulla, conducendo alle estreme conseguenze il consiglio di Friedrich: chiudere gli occhi per aprire l’occhio spirituale. A Munch la realtà non interessava affatto. Non è certo un caso che una delle tecniche che più amava, e dove in molti vedono la vera natura dell’artista, è la xilografia. Arte per definizione nordica che avvicina il lavoro del pittore a quello dello scultore unendo la fatica mentale a quella fisica di scavare solchi più o meno profondi su una tavola di legno. Una pratica certo incline a quel male di vivere che ha conquistato Munch a partire dall’infanzia fino alla fine dei suoi giorni. Di nuovo una perfetta corrispondenza fra pittura e vita.

È nel palazzo Ducale di Genova che è possibile visitare più di 120 opere nella mostra curata da Marc Restellini, direttore della Pinacotheque de Paris, che nel 2010 ha dedicato al maestro norvegese un’esposizione visitata da oltre 600mila persone. L‘esposizione ripercorre l’intero percorso artistico del pittore che procede omogeneo e con pochi (ma significativi) cambi di stile, che racconta la triste storia di un uomo e la sua gloriosa influenza nel mondo dell’arte. Una mostra nella mostra chiarisce bene quanto Munch abbia cambiato le sorti della creatività se il suo grido è arrivato a condizionare la produzione di Andy Warhol. Difficile unire due artisti così distanti fra loro, il norvegese simbolo massimo dell’espressione nordica e lo statunitense icona di un’arte brillante e spensierata. Eppure i due artisti vengono messi in dialogo a palazzo Ducale, precisamente i lavori di Warhol composti sotto diretta ed esplicita influenza di Munch, assicurato uno straniamento visivo.

Una possibilità di vedere raccolte le opere del norvegese che partendo da uno sbiadito e oscuro impressionismo di matrice francese, arriva a fondare una nuova grammatica dell’arte: violenta e morbida allo stesso tempo. Colori densi, quasi un magma cromatico steso con sufficienza sulla tela o rigorosi monocromatismi dagli angoli vivi dove ogni curva è un’eccezione. Sintesi di questo stile è la Madonna che è anche maddalena che è anche madre. Una figura femminile nuda che raccoglie linee curve a linee rette componendo un puzzle equilibrato che ispira tanta malinconia quanta sensualità, fusione possibile solo se si smette di rappresentare la realtà. Del resto lo stesso Munch chiarisce bene la sua poetica “La natura è l’opposto dell’arte. Un’opera d’arte proviene direttamente dall’interiorità dell’uomo.La Natura è il mezzo, non il fine. Se è necessario raggiungere qualcosa cambiando la natura, bisogna farlo. L’arte è il sangue del cuore umano”.

Fino al 27 aprile; palazzo Ducale, piazza Giacomo Matteotti; info: www.palazzoducale.genova.it