Le proiezioni di Mochetti

«L’opera d’arte è l’idea, il progetto». L’intuizione e l’applicazione. Un’analisi che Maurizio Mochetti, romano classe 1940, è solito sviscerare fin dagli esordi quando, all’età di 28 anni, è stato protagonista della sua prima personale nella storica galleria capitolina La salita. In quella importante occasione ha esposto dieci progetti e due realizzazioni. Oggi, dopo aver mostrato i suo lavori anche oltre confine (dagli Stati Uniti ad Israele, dalla Germania alla Spagna alla Finlandia), Mochetti è al centro di un’esposizione – alla Giacomo Guidi arte contemporanea, in palazzo Sforza Cesarini – che rappresenta l’ennesima dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, di quanto la sua visione del mondo sia nutrita dall’arte quale manifestazione performativa del nostro quotidiano. Sensibile e attento alle sfumature del contemporaneo, l’artista – che vanta nutrite partecipazioni alla biennale di Venezia, insieme a quelle di San Paolo, Nagoya e Sidney – vuole ripercorrere nella mostra romana, facendo leva su una ricercata gamma di opere esemplari – parte del suo iter di ricerca, nell’ambito di una sintesi che ne identifica tre momenti del cammino professionale.

Tre è il numero perfetto, a circostanziare altrettante fasi che prendono il largo con l’opera Pozza rossa (esposta per la prima volta dopo la biennale del 1988), una struttura tridimensionale di pigmento rosso, la cui forma viene variata e poi disegnata dalla rotazione di un raggio laser che, in un movimento verticale e ciclico al suo centro, ne suggerisce ogni volta percezioni differenti. Aperta al pubblico fino al 24 novembre, la rassegna presenta poi un lavoro inedito, realizzato per l’occasione, appartenente alla serie delle Missioni: è la parabola di un V1, una bomba volante della Luftwaffe (una sorta di piccolo velivolo senza pilota) posta su un telaio disposto in verticale, con un filo di acciaio in tensione che ne traccia il tragitto. Esplicito approfondimento all’interesse di Mochetti, che è sì orientato verso la luce intesa nella sua fisicità, come materia, spogliata di qualsivoglia significato simbolico, ma non solo: auto, aerei, armi e geometrie costellano il suo immaginario. Infine il cortile di palazzo Sforza Cesarini ospita l’opera Pendoli laser (1996-2013), a suggerire un dialogo con la classicità dello spazio e l’andamento prospettico del porticato. Come l’artista, in fondo, chiede.

Fino al 24 novembre, Giacomo Guidi, palazzo Cesarini Sforza, corso Vittorio Emanuele II, Roma; info: www.giacomoguidi.it

 

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