Trialogo, nelle mani il mestiere

Le aspettative nei confronti di nuove realtà che si insinuano nell’intricato tessuto culturale romano sembrano essere state più che soddisfatte nell’inaugurazione della nuova galleria progettata da Andrea IezziTrialogo è la mostra che ha aperto al pubblico le porte di un inedito spazio creativo che prende il nome di galleria l’Opera. Tre artisti, tre modi di vedere il mondo secondo differenti prospettive, tre concezioni di pittura laddove il manufatto esposto arriva allo sguardo del fruitore in maniera diretta e senza alcuna fuorviante concettualità. Mauro Maugliani, Luis Serrano e Gonzalo Orquìn, presentano le loro opere nella consapevolezza di possedere nelle mani il mestiere, un attributo nobilitante che in questa contemporaneità che ha perso il senso del fare è capace di stupire e affascinare il fruitore di passaggio tanto quanto il colto addetto ai lavori. I tre protagonisti di questo progetto espositivo riescono a inca lanare i loro linguaggi espressivi attraverso una pittura figurativa non scontata e che serba nella sua essenza un’elevata qualità tecnica ed esperienziale.

Mauro Maugliani racchiude nella sua perfezione pittorica di stampo fotografico l’essenza del reale e del concetto di vero somiglianza, nel suo dipinto intitolato In God we trust l’effige di una donna in abito talare è l’emblema di un’ambiguità sottintesa che cela nella perfezione estetica un percorso contrastante che secondo l’intervento critico di Edoardo Sassi nasconde in sé un doppio che svela la radice di un sur – realismo “che dà forma perfetta a un quid non necessariamente visibile”. Luis Serrano, artista originario di Madrid, evoca oggetti della quotidianità, o meglio, narra la forma essenziale e al contempo mistica di un divano. Un divano che non è semplicemente l’espressione inorganica di un elemento di arredo, bensì quell’oggetto è parte integrante di una casa che appartiene alla famiglia dell’artista da secoli, è il simbolo di una storia celata, un’architettura a sé stante che racchiude nelle sue pieghe, nei tessuti ormai lacerati, la memoria di stagioni mancate, del trascorrere lento degli anni. Gonzalo Orquìn, anche egli di origine spagnola e da diversi anni residente in Italia, è l’ultimo protagonista di Trialogo. Orquìn presenta in mostra tre opere frutto di diverse tecniche: pittura, fotografia ed installazione audio/ visiva. I lavori dell’artista sondano in complessità le tematiche relative al matrimonio e alle relazioni di coppia, nel suo dipinto intitolato Interno Nozze, un senso di Hopperiana memoria trasuda nella composizione pittorica dedita a raccontare l’incomunicabilità che rende due persone profondamente estranee e inequivocabilmente distanti.

L’opera fotografica di Orquìn è stato al centro di un caso di censura. Nella serie di scatti intitolata Sì, quiero l’artista ha ritratto sedici coppie gay baciarsi dinnanzi ai sagrati di diverse chiese romane, il Vicariato di Roma, sotto l’egidia di una diffida, ha costretto la galleria a oscurare le foto del creativo iberico, celate, durante l’inaugurazione, sotto una coltre nera di pannelli. Abbiamo approfondito con Orquìn le questioni di questo atto di disapprovazione da parte della Chiesa cercando anche di capire il reale senso della sua ricerca creativa.

Questo provvedimento da parte del Vicariato di Roma ha costretto la galleria l’Opera a oscurare il tuo lavoro, qual è il tuo punto di vista in merito a questa decisione?

«Sono molto amareggiato perché ritengo che sia stato sopravvalutato il messaggio provocatorio delle mie fotografie. Ho scelto il matrimonio come tema delle opere che ho portato in mostra, ho descritto la coppia convenzionale nella tela intitolata Interno Nozze dove però esiste un senso di estraneità, di non comunicazione. Proseguendo su questo sentiero ho voluto raccontare il matrimonio del passato, nell’installazione audio video che propongo diversi coniugi, provenienti da varie nazioni, raccontano le loro nozze a 50 anni di distanza, infine, mi sembrava corretto non lasciare da parte il tema delle coppie omosessuali. Sono spagnolo e dal 2005 nel mio paese i matrimoni gay sono riconosciuti civilmente, credo sia giusto parlare di questa realtà e non capisco l’accanimento da parte della chiesa. Sono credente e se è vero che Dio è amore, un bacio non è altro che il simbolo di questo sentimento. Il Vicariato di Roma ha diffidato la galleria nel mostrare l’opera al pubblico perché i contenuti affettivi riprodotti non sono stati ritenuti appropriati per i luoghi di culto che fanno da cornice alle sedici coppie ritratte. Penso che le mie fotografie siano caste, alcune persone che ho immortalato quasi si sfiorano, non c’è alcuna volontà di provocare».

Parlando in generale della tua matrice espressiva quali sono i riferimenti e le fonti d’ispirazione delle tue opere?

«Sono un pittore, nasco come tale e ho sempre guardato all’arte del passato che è la fonte principale del mio linguaggio espressivo. Prediligo le opere degli anni ’30 del Novecento, quel ritorno all’ordine che coinvolse ad esempio i primi lavori di Capogrossi. Amo Giotto e Piero della Francesca, nella pittura antica colgo i miei riferimenti che cerco di tradurre attraverso un vocabolario contemporaneo che mi permetta semplicemente di aggiungere qualcosa».

Fino al 15 novembre; galleria L’Opera, via di Monserrato 40, Roma; info: www.gallerialopera.com

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