La cultura al governo di Roma

Roma

Numeri alla mano la cultura a Roma necessita dell’innesto di un nuovo modo di ragionare, un nuovo approccio. L’hashtag coniato dal Fondo ambiente italiano, da Federculture e da Italia nostra, #noeconomiasenzacultura, sintetizza un metodo innovativo ed efficiente di interpretare e gestire la cultura che, stando alle cifre snocciolate dal rapporto del World cultural cities rielaborate da Federculture, negli ultimi dieci anni è stata protagonista a Roma di un lento declino. Nell’incontro di questa mattina al Palazzo delle esposizioni le tre realtà hanno lanciato sei proposte per legare lo sviluppo culturale a quello economico e, a pochi giorni dal ballottaggio per decidere il sindaco della capitale, hanno dato l’impressione di un velato endorsement a favore di Ignazio Marino. Lo dimostrano gli accenti posti sugli errori commessi negli ultimi cinque anni e lo dimostra la presenza in prima fila di Umberto Croppi, ex assessore alla cultura con Gianni Alemanno e ora passato con lo schieramento avverso. Federculture, il Fai e Italia nostra negli ultimi mesi si sono contraddistinti per il dinamismo ideale in sostegno della cultura, basti pensare alle petizioni lanciate prima delle elezioni politiche. Un dinamismo che ha assolutamente legittimato la successiva nomina di Ilaria Borletti Buitoni, ex presidente del Fai, a sottosegretario dei Beni culturali. Chissà se il tempismo dell’incontro di oggi spiega l’ambizione di questo vitalissimo centro di sviluppo culturale a sponsorizzare una sua rappresentanza nella prossima amministrazione comunale. A questo ragionevole dubbio i diretti interessati non rispondono con una smentita, anzi con un ragionamento molto profondo, diretto a screditare la politica autoreferenziale e a caldeggiare l’ingresso delle competenze nella politica al fine di preservare la cultura dall’effetto delle squinternate lottizzazioni di partito o dagli interessi di parte. Dice Andrea Carandini, presidente del Fai: «Premesso che entrare in politica non è nella prassi del Fai, in Italia le persone competenti per materia ci sono, il problema è che non vengono utilizzate nel settore di propria competenza». E, non a caso, una delle più significative proposte è quella di affiancare la delega alla cultura e al turismo al prossimo vicesindaco di Roma.

Non solo: un rapporto più sinergico tra pubblico e privato e, soprattutto, una maggiore valorizzazione dell’arte contemporanea. Secondo i dati del World cultural cities, infatti, il Macro e il Maxxi insieme raggiungono appena i 500mila visitatori in un anno, lontanissimi dai grandi istituti internazionali come il MoMa di New York, a 2,8 milioni di visitatori, il Centre Pompidou di Parigi, 3,8 milioni, la Tate Modern di Londra, 5,4 milioni di ingressi. «Dobbiamo rendere Roma una fabbrica d’arte contemporanea – dice Roberto Grossi, presidente di Federculture – favorendo la nuova creatività artistica attraverso momenti di scambio internazionali, come le residenze d’artista e potenziando le politiche per il contemporaneo, completando, ad esempio, il processo di sviluppo del Macro rendendolo, attraverso la costituzione della Fondazione, autonomo dalla gestione comunale e integrandone le attività e la programmazione con il Maxxi per dare vita a un polo dell’arte contemporanea».

Le proposte sono tutte decisamente stimolanti e, se attuate, sicuramente innovative. Come quella relativa ai finanziamenti. Alcune istituzioni culturali, infatti, ricevono molto ma producono poco. Grossi sceglie di citare proprio l’esempio del teatro dell’Opera di Roma per motivare la proposta sull’allocazione delle risorse pubbliche: programmare la certezza degli investimenti per il settore cultura, con una chiara politica di indirizzo a medio termine, in modo che i programmi di sviluppo siano pluriennali ma che l’erogazione dei fondi sia subordinata ai risultati. Fare della cultura una leva di sviluppo non sempre è stato un assioma della politica. Lo hanno dimostrato le recenti scelte, i tagli indiscriminati e alcune violente dichiarazioni.

Ripartire da Roma come possibile modello da esportare a livello nazionale? Questa è di certo l’intenzione di quello che si potrebbe definire un movimento d’opinione, animato e coordinato da Federculture, da Italia nostra e dal Fai. Anche se le resistenze continuano a essere molte. Una su tutte citata proprio da Carandini: «Il nuovo ministro dei Beni culturali Massimo Bray avrebbe dovuto chiedere risorse per il settore, puntare i piedi come ha fatto la collega dell’Istruzione. Il fatto che non abbia chiesto un soldo di più mi dispiace, non va bene».

 

Articoli correlati