Biennale, tutta la videoarte

All’interno della mostra internazionale della 55esima biennale di Venezia sono esposte varie opere di videoarte di rilevante interesse, parleremo di alcune. Nel padiglione Italia, Vice versa, curato da Bartolomeo Pietromarchi, si trova l’installazione Piccolo sistema di Gianfranco Barruchello strutturata come un laboratorio del pensiero, in particolare il video in tre canali riflette sulla temporalità attraverso oggetti comuni come un giradischi che suona, una luce intermittente, una sigaretta che brucia, un lavandino che goccia, una livella. Proseguendo, nel padiglione delle Bahamas, Tavares Strachan, che lo rappresenta, espone una installazione video in quattordici canali dal nome Magnetic in cui si avventura alla ricerca del Nord magnetico, nei ghiacci e nel mare del polo Nord durante un’eclissi, sottolineando l’impossibilità di trovarlo. Invece il padiglione dell’America latina – Iila (Istituto italo- latino americano) è composto principalmente da video che narrano, ognuno a suo modo, la cultura dei paesi del continente, fra origini mitiche, riferimenti mitologici, la ricerca dell’identità, la provenienza popolare di alcune manifestazioni, la natura e la scienza, le tradizioni, la politica.

Il padiglione della Turchia si presenta come un’ampia sala con grandi proiezioni di Ali Kazma che avvolgono lo spettatore: il tema alla base dei lavori è il corpo inteso da vari punti di vista, come pelle – attraverso, ad esempio, la pratica del bondage. Il padiglione libanese presenta l’artista Akram Zaatari che nel suo video parla del desiderio, della resistenza, della memoria e dei cambiamenti di natura politica. Nel padiglione del Vaticano un’intera stanza è dedicata all’installazione interattiva di Studio azzurro in cui sordomuti raccontano la creazione dei vegetali e degli animali con gesti attivati dallo spettatore quando pone una mano sopra le loro figure, mentre carcerati, con lo stesso sistema, indagano l’identità umana; sul pavimento la creazione universale attraverso le mani di tutti gli spettatori che hanno partecipato. Entriamo nella mostra Palazzo enciclopedico, curato da Massimiliano Gioni, in cui sono esposti interessanti opere audiovisive. Centotrentuno monitor compongono la grande installazione Solo Szenen di Dieter Roth: dagli anni ’80 l’artista ha creato video sulle sue azioni quotidiane come mangiare, dormire, lavorare in studio, spogliandosi realmente e metaforicamente. Continuando si giunge ad Electric Assemblages di Stan VanDerBeek: una visione universale e completa dello scibile umano attraverso immagini di repertorio. Girando fra le sale se ne incontra una buia e invasa da quattro palchi che contengono quattro video di Ryan Trecartin in cui i protagonisti – di razze e sessi diversi- compiono azioni surreali, modificate in post produzione digitale, conducendoci in uno sdoppiamento allucinatorio. Il buffo video Das Loch (il buco) di Jos de Gruyter e Harold Thys racconta la storia di un artista depresso perché la moglie gli ha suggerito di imitare un altro artista. Harun Farocki in Trasmissione, crea un’interessante riflessione per immagini sui modi di celebrare i luoghi della sacralità in varie culture.

Il cinese Kan Xuan con Millet Mounds – installazione di 171 video- indaga il mondo dei villaggi in Cina settentrionale e le tombe imperiali attraverso il fermo immagine. João Maria Gusmão e Pedro Piva presentano opere brevi composte da un unico gesto che si carica di riferimenti allegorici, filosofici e letterari; tutte le opere sono girate in Mozambico. Camille Hernot che ha vinto il Leone d’argento come promettente giovane artista della mostra il Palazzo enciclopedico, sintetizza in immagini provenienti da diverse culture e contesti l’intera conoscenza umana, non per arrivare a un oggettività assoluta, ma per giungere a un’immagine prismatica del regno del pensiero, dalle parole dell’artista. Continuando a visitare il Palazzo enciclopedico ai Giardini si incontra l’opera di Laurent Montaron, Short study on the nature of the things che mette a confronto il mondo naturale e quello scientifico. Interessante Blindy di Artur ?mlijewski: l’artista riprende persone cieche che dipingono. Un tuffo nel passato è rappresentato da Film No 12 (heaven and earth magic), 1959-1961, di Harry Smith, creativo che appartiene all’avanguardia statunitense: il video narra la storia surreale di un’eroina attraverso immagini da sogno piene implicazioni simboliche, accompagnate da suoni dissonanti. Quasi minimale Corona di Victor Ampliev dove il mescolarsi del presente e del passato è rappresentato dal canto di due donne.

Onirico l’artista Melvin Moti che espone due video sulla percezione, nel primo materiali gassosi provenienti da Giove sono filtrati da oggetti di vetro, nel secondo si svolge un balletto galattico di minerali pericolosi per la salute in piena oscurità. Passeggiando per i giardini si incontra il padiglione della Grecia che presenta tre opere audiovisive di Stefanos Tsivopoulos, tutte collegate fra loro e che compongono la trilogia History Zero: nella prima un barbone raccoglie oggetti con un carrello, e poi, quando trova in un secchione fiori fatti con i soldi scappa e lascia il carrello per strada; nel secondo un mercante d’arte trova il carrello e lo prende; nel terzo il colpo di scena: è una vecchietta molto ricca e stravagante a creare i fiori con i soldi, oltre a essere cliente del mercante d’arte. Il padiglione francese è composto a sua volta da una trilogia Ravel Ravel Unravel di Anri Sala, in cui protagonista è il Concerto in re per la mano sinistra di Maurice Ravel, che viene eseguito da due musicisti contemporaneamente e da una dj che lo interpreta. Nel padiglione Giapponese, vincitore della menzione speciale della giuria e interamente dedicato a Mika Tanaka, spicca il video A behavioral statement (or an unconscious protest ) in cui si indagano i comportamenti dei giapponesi dopo lo tsunami: ad esempio la paura di mancanza di corrente conduce a prendere le scale normali al posto dell’ascensore. Infine il padiglione israeliano è pensato come un’unica e articolata video installazione, The workshop di Gilad Ratman, che racconta il viaggio di trenta persone da Israele, a partire da alcune grotte, al padiglione stesso, dove queste trenta persone creano con l’argilla i loro autoritratti per poi posizionarvi un microfono e iniziare un dialogo con se stessi.

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