Danilo Bucchi e la propria molteplicità: dalla scultura alla pittura, dall’alluminio alla carta alla tela. Un iter affascinante, quello compiuto nel corso degli anni dall’artista capitolino classe 1978 – appena ventunenne ha preso a esporre partecipando ad alcune collettive – che fino al primo giugno sosta negli spazi della galleria Emmeotto a Roma. Un ritorno tra mura amiche, dunque, quello dell’artista, al centro di una personale, curata da Gianluca Marziani, che rimanda a una sfera diaristica in grado di metabolizzare l’esterno attorno alla fisionomia mutante dei suoi ritratti a più dimensioni.
Dopo aver studiato pittura, scultura e scenografia all’accademia di Belle arti e conseguito un master in fotografia, dal 1998 al 2001 Bucchi ha vestito i panni dello scenografo di film e pubblicità. Esperienze trasversali che ancora oggi tratteggiano l’universo dell’artista, abile nel mantenersi in equilibrio tra moda e design, letteratura e tecnologia, fumetto e cinema, senza cadere nella mera citazione. Nasce la prima scultura firmata Bucchi, un autoritratto a tre dimensioni in alluminio dove l’artista si seziona attraverso la postura, l’abbigliamento, il cappello. E dove la carica sulla schiena agevola lo “scatto” tra opera e fruitore. Una sorta di molla che innesca curiosità, come quella derivante dalle melanconiche e sensuali bambole, vere e proprie apparizioni pittoriche dai volti beckettiani da teatro muto. Emotività al potere. Come il segno nero, che Bucchi realizza con il supporto di siringhe sostitutive al pennello, aprendosi a nuove modalità che spaziano dai grandi formati ai fogli di taccuino. Figura, massa e racconto per reinventare l’oggi attraverso la purezza del tratto primordiale.
Fino al primo giugno; galleria Emmeotto, via di monte Giordano 36, Roma; info: www.emmeotto.net