Berlino per gli artisti

La Künstlerhaus bethanien è un centro culturale internazionale con un prestigioso programma di residenze che, per statuto, si propone come piattaforma di dialogo fra artisti provenienti da diversi contesti culturali. Ha inaugurato le project room di Gerry Bibby, Michael Lee, Erina Matsui, Jasper Sebastian Stürup e Marie Zolamian, la pluralità dei background non poteva essere più manifesta, con la modulazione dell’ampio spazio espositivo in cinque ambienti concettualmente indipendenti ed esteticamente contrastanti.

Con Adam oldum, ne istiyorum? – I am a man now, what do you want more?, Marie Zolamian (Armenia 1975) propone una riflessione sul crinale fra identità individuale e collettiva, costruita intorno al caso di un castello abbandonato a Abwein, in Palestina; i suoi disegni, quelli dei bambini invitati a ragionare sul luogo, i dialoghi fra visitatori, il gioco dei ragazzi a cui è stato chiesto di fare da “guide turistiche”, tutto concorre a tessere un racconto esperienziale capace di ridar vita al sito, fra reali accadimenti e personali, a volte oniriche, interpretazioni. Anche Michael Lee (Singapore, 1972), lavora sull’identità dei luoghi, in particolare sul concetto di solitudine e memoria urbana. Per questo progetto, Some Detours, si concentra sulle architetture abbandonate, tracciandone le planimetrie sulla tela: un monolocale, una prigione, un ospedale vengono accomunati dal sentimento di straniamento suscitato dal confronto visivo con la fredda geometria dei luoghi che non appartengono più a nessuno.

Dopo la solitudine dei luoghi non vissuti, entriamo nel microcosmo di Erina Matsui (Giappone 1984), dove, in piena estetica Kawaii – tenera e tondeggiante ma nonostante ciò poco rassicurante – ci confrontiamo con la percezione che l’artista ha di sé e del contesto in cui vive, fra autoritratti che diventano strade da percorrere – e danno il titolo alla mostra, Road Sweet Road – alter ego con tanto di nome, Axolot, cangianti e inquietanti esseri animali, giocattoli feticcio. Ben più intimo è Nothing Will Corrupt Us, Nothing Will Compete, il mondo graficamente evocato dall’unico artista europeo, Jasper Sebastian Stürup (Danimarca, 1969) che delinea delicatamente a mano libera i ritratti e le suggestioni tratte da un archivio di foto personali, articoli di giornali e immagini web che raccoglie ormai da diversi anni. La carta non è comunque l’unico mezzo usato: la serie illustrata dialoga con minimali installazioni realizzate con pelliccia di seconda mano.

Conclude il percorso Gerry Bibby (Australia, 1977) che, secondo le regole del Take a setting, perform an action, and create a problem (Prendi un ambiente, esegui un azione, problematizza), ripropone caoticamente l’architettura del Prisma Pavillon, chiosco lungo il canale a pochi metri dall’atelier nonchè titolo del progetto, coinvolgendo un nutrito gruppi di colleghi con cui ha lavorato performativamente negli ultimi anni, tracciando un parallelo fra il ristoro fisico e quello, umano, di chi produce cultura. Gli stimoli sono tanti e pluridirezionali. Esci dal Bethanien con la voglia di approfondire il significato che questo periodo di residenza ha avuto per gli artisti coinvolti, ti chiedi se e come si sono confrontati, vicini di atelier per questi mesi. Vale la pena tornare per gli open studio.

Fino al 24 marzo; Künstlerhaus Bethanien, Berlino; info: www.bethanien.de

 

 

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